Archiviata non senza affanno la partita Alitalia, ora opposizione e sindacati puntano tutto sul tema scuola. Qui sembrano certi di poter riguadagnare il consenso della piazza e lanciare così un’offensiva più efficace contro il governo Berlusconi. In questa direzione è da vedere la grande minaccia gridata dal leader Cgil Guglielmo Epifani due giorni fa: «sulla scuola, o si cambia, o sarà sciopero generale».
Ma l’effetto è un po’ quello di una grida manzoniana, dietro cui si nasconde un potere sindacale sempre più debole. Innanzitutto perché lo sciopero generale la Cgil non lo può certo decretare da sola. Le altre sigle sindacali cosa ne pensano? Massimo Di Menna, segretario della Uil-Scuola sembra avere più di un dubbio sulla proposta di Epifani.
Di Menna, sarà dunque sciopero generale del mondo della scuola?
Lo sciopero generale non si decide in un attimo: è un problema che deve essere discusso da tutti i sindacati, perché è un’azione impegnativa che coinvolge direttamente migliaia di lavoratori, insegnanti e personale ATA.
Ma per voi è un appuntamento in agenda?
Secondo me la cosa veramente importante è mettere in agenda azioni che non siano solo di pressione nei confronti del governo; bisogna cioè concentrarsi su come affrontare il negoziato. Lo sciopero è uno degli strumenti tradizionali di azione del sindacato, ma non è l’unico. Anche perché il problema vero dello sciopero, se lo guardiamo dal punto di vista dei lavoratori, è quello del giorno dopo: ci vuole una strategia, altrimenti chi sciopera non fa altro che perdere una giornata di lavoro.
La concomitanza tra il fine-settimana di iniziative del Pd denominate “Salviamo la scuola” e la proposta di Epifani è abbastanza lampante: questa coincidenza tra sinistra e sindacati non sta diventando un po’ troppo evidente, quasi fosse una cosa scontata?
Lo scopo dell’azione del sindacato, ripeto, deve essere quello di arrivare a fare un buon negoziato. La scuola in particolare ha bisogno di più qualità, e quindi la nostra azione non può essere conservatrice, ma finalizzata a introdurre elementi innovativi. Se non fa questo il sindacato sbaglia, e si indebolisce, perché non è più utile ai lavoratori. Per quanto riguarda il rapporto con la politica, i piani sono due. C’è la maggioranza che deve governare, e l’opposizione che deve contrastare; e questo è il piano politico. Poi, su un altro piano, c’è il sindacato, che ha come scopo quello di contrattare e di negoziare con la maggioranza. Non deve fare da supporto all’opposizione, altrimenti si snatura.
Ora però, di fronte a una minaccia di sciopero generale, sembra abbastanza comprensibile che al governo passi un po’ la voglia di negoziare con i sindacati…
Spero che questo non avvenga. Io, per parte mia, cerco di fare bene il mio lavoro e di stare sul merito dei problemi. Certo, se durante una riunione il sindacato dice “è tutto sbagliato”, il ministro reagisce dicendo “non tratto più”. Ma non tutti dicono questo; e anche chi lo dice rimane comunque convinto che sia utile andare avanti a trattare. Ci vuole pazienza e bisogna continuare nella trattativa. L’errore che il governo non deve fare è quello di dire “faccio tutto io”, perché le decisioni da prendere sono delicate ed è fondamentale la partecipazione di chi lavora sul campo. Martedì, ad esempio, ci sarà l’incontro sul quadro orario e la riorganizzazione dei licei: se una cosa delicata come questa fosse fatta solo dai tecnici del ministero e non fosse fatta con gli insegnanti dei licei e con le parti sindacali si rischierebbe di fare un disastro.
Una delle critiche più forti da parte dei sindacati riguarda i tagli: ma i tagli di oggi non sono l’effetto inevitabile delle politiche sconsiderate del passato, con continue e ingiustificate immissioni di personale?
C’è stata certo una politica per quanto riguarda gli organici della scuola che ha portato a una situazione che richiede cambiamenti; graduali, ma chiari. Negli istituti professionali, ad esempio, ci vogliono certamente riduzioni di ore, così come i 900 indirizzi vanno ridotti. Ci sono interventi di razionalizzazione da fare, e i sindacati devono affrontare questo con spirito costruttivo. Ma la razionalizzazione deve essere fatta con criterio e confrontandosi con chi lavora nella scuola. Qui mi pare invece che si stia decidendo a tavolino di tagliare pesantemente e di fare al tempo stesso una scuola di qualità. Da come è stata impostato il lavoro, mi vien da dire che ci vorrebbe un mago per ottenere questo.
Cosa c’è in particolare che non la convince dei tagli ipotizzati dal ministero?
Ad esempio si sta impostando male il problema del rapporto alunni-insegnanti. Certamente è un rapporto da rivedere: ma invece di incrementare i gruppi-classe più esigui, si sta andando nella direzione di aumentare il numero di studenti dove già ce ne sono tanti. Questo è il classico esempio di azione fatta da tecnocrati in stile ragionieristico, secondo cui basta far tornare i conti.
E del maestro unico cosa ne pensa?
Innanzitutto ritengo che non se ne debba fare un totem: già adesso, se guardiamo la realtà dei fatti, ci sono tante scuole che hanno nelle prime classi l’insegnante prevalente. Ed è giusto che sia così nei primi due anni. Dalla terza in poi, invece, è bene che ci sia una passaggio graduale a una differenziazione, che aiuti i ragazzi ad affrontare il passaggio alla secondaria inferiore. Bisogna dunque saper distinguere tra le varie realtà, senza essere semplicistici.
In definitiva qual è il suo giudizio sull’operato del ministro Gelmini?
Sul voto in condotta e altre cose contenute nel decreto abbiamo espresso un parere positivo. Quello che non va bene è la bozza programmatica presentata ai sindacati: su quello ci sarà da lavorare, e spero che si possa aprire un confronto serio.