Il confronto tra i due termini docente unico versus moduloha assunto uno spessore polemico che di certo non favorisce una riflessione serena, ma questo non può esimerci dall’affrontare i due corni del dilemma.
Per evitare le semplificazioni suggeriamo di partire dal valore primario che assume il processo di insegnamento/apprendimento di un alunno di scuola primaria e di farne discendere una riflessione sulla soluzione che offra i massimi vantaggi e i minori elementi di criticità.
Nelle scuole europee che ottengono le migliori performances esiste un insegnante unico, oppure un insegnante prevalente che viene coadiuvato marginalmente da specialisti delle attività motorie, o musicali, o da esperti nell’applicazione delle nuove tecnologie. Perché ciò che si dimostra valido nel resto d’Europa non dovrebbe valere anche per l’Italia?
Nel panorama europeo, dunque, è consolidata la convinzione che gli alunni della fascia scolare primaria abbiano bisogno di un insegnante che costituisca un punto di riferimento forte, sia sul piano didattico che su quello affettivo-relazionale. Non è detto che l’insegnante debba essere unico, ma è importante che gli specialisti che integrano la sua azione educativa operino sulla base di un progetto didattico costruito con lui e intorno a lui. Il progetto deve essere unitario, non in quanto risultante della giustapposizione di pezzi diversi (rischio al quale è fortemente esposto un modulo poco coeso), ma in quanto ispirato ad una visione unitaria del sapere, di natura pre-disciplinare, strettamente correlata ai dati di realtà e all’esperienza di vita dei bambini.
Un insegnante prevalente integra e modula i contenuti, le attività, le metodologie, i tempi e i ritmi del lavoro, stabilisce relazioni, collegamenti, richiama i contenuti delle diverse aree di lavoro, affida ai colleghi specialisti aree di approfondimento che si richiamano all’impianto progettuale comune, che l’insegnante prevalente continua comunque a tenere sotto controllo nel suo svolgimento complessivo; senza sottostare al vincolo di una frammentazione disciplinare che crea elementi di cesura nel dispiegarsi di un ordinato e coerente percorso unitario di apprendimento.
Ci rifiutiamo, infine, di prendere in considerazione la tesi secondo la quale il maestro unico costituirebbe un grave rischio per la classe qualora non possedesse competenze professionali adeguate. Non si può infatti accettare una logica compensativa dei deficit professionali di alcuni insegnanti basata sulla miscelazione della loro azione con quella dei colleghi del modulo. Questo significherebbe permettere che anche gli insegnanti professionalmente meno adeguati abbiano diritto a permanere all’interno del sistema, purché non facciano troppi danni. La logica va completamente rovesciata: l’insegnante deve essere formato perchè acquisisca e padroneggi un bagaglio completo di competenze, deve avere l’opportunità di aggiornarlo periodicamente, deve essere valutato in riferimento ai risultati che la sua azione educativa e didattica produce.
Non andrebbe mai dimenticato, inoltre, che la scuola costituisce un’autonomia funzionale, alla quale è affidato un mandato istituzionale, ma che va riconosciuta come unica titolare della responsabilità di definire le modalità da adottare per conseguire gli obiettivi che le sono assegnati.
Ogni norma che vincoli o comprima questo spazio autonomo di responsabilità è da respingere, perché viola principi costituzionali fondamentali, quali quelli dell’autonomia e della sussidiarietà. All’amministrazione compete la decisione circa il dato quantitativo di organico da assegnare ad un istituto, che sarebbe opportuno definire su parametri funzionali più che aritmetici, ma la responsabilità di impiegare queste risorse, in modo che producano la massima efficacia dell’intervento formativo, non può che rientrare nella specifica area di competenza dell’istituto stesso. Dovrà essere quindi la scuola e non la norma a decidere, ad esempio, se nella quarta o quinta classe sia più funzionale mantenere l’insegnante prevalente o introdurre una prima diversificazione delle figure di riferimento, come forma di adattamento e di accompagnamento alla successiva fase formativa.
Non va dimenticato, però, che il rispetto dell’autonomia scolastica comporta l’obbligo di confrontarsi con la domanda sociale e con le competenze dell’amministrazione locale. È all’interno di questo rapporto triangolare che diventa necessario individuare le soluzioni organizzative più opportune. È a questo livello che i problemi vanno affrontati, evitando di fare prima le scelte (magari sulla base dell’orientamento prevalente all’interno del Collegio docenti) e di pretendere che utenti e territorio vi si adeguino.
Non esiste un modello ideale di scuola e di tempo-scuola, chi lo afferma lo fa sulla base di un assioma di natura ideologica. Esistono, invece, buoni modelli organizzativi che nascono da una corretta e intelligente applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale e da buone pratiche di governance territoriale. La programmazione integrata dei servizi scolastici, prospettiva già aperta ma che subirà un determinante impulso dall’avvio del prossimo processo di decentramento regionale del sistema scolastico, consente di rispondere in modo coordinato alle esigenze della collettività locale; ma all’interno di questo ecosistema formativo integrato deve essere garantita alle scuole e a chi vi opera la possibilità di concentrarsi sui problemi dell’apprendimento e sulla qualità del progetto pedagogico-didattico che la scuola, in quanto organizzazione esperta, è tenuta ad elaborare e a fornire ai propri utenti.