Il 12 e 13 maggio si terranno in tutte le università italiane le elezioni per il rinnovo del CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari), organo consultivo presso il Ministero dell’Università a Roma. Non ci nascondiamo la situazione estremamente confusa e incerta circa i destini del sistema universitario nazionale. L’ambiziosa riforma che è in discussione in questi giorni in commissione al Senato rischia di imbrigliare ancor di più un sistema già messo a dura prova dalle pesanti misure economiche. Sarebbe certamente possibile, e forse auspicabile, ipotizzare strade alternative all’attuale situazione di immobilismo gattopardesco, improntato a un centralismo soffocante. Ma forse è proprio questa la logica della riforma: cambiare tutto affinché non cambi niente. Francesco Magni (Presidente Clds)
L’università vive una stagione di profonda incertezza circa il proprio destino. Per mesi i giornali l’hanno dipinta esclusivamente come un luogo di privilegi e di sprechi (che peraltro non mancano). È stata così spianata la via agli interventi del Governo, ispirati a pure esigenze di cassa. I pesanti tagli imposti dal Ministero dell’Economia sono, infatti, al momento, l’unica certezza. Nel frattempo in Parlamento si discute un’ambiziosa proposta di riforma, propagandata come la panacea di tutti i mali, che si presenta in realtà come il trionfo definitivo dello statalismo (dato che in Italia l’autonomia universitaria non è mai stata veramente realizzata). Per una buona fetta (bipartisan) di politici, l’università è solo, per dirla con Reagan, “una belva da affamare”, una grana da gestire e non una risorsa sulla quale investire con coraggio per il bene del Paese.
Nel modo di affrontare il suo futuro paiono mancare quel minimo di tensione ideale e di consapevolezza della sua natura indispensabili a gettare le basi di uno sviluppo di ampio respiro. Ci auguriamo di essere presto smentiti. L’attuale dibattito in Parlamento sulla riforma potrebbe essere la prima occasione per rimettere a tema l’università, per ridefinirne la missione e l’organizzazione e realisticamente immaginare strade alternative all’attuale paralisi istituzionale (un soffocante centralismo). Se questo è il quadro, che senso ha candidarsi al Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari? Non ci illudiamo di poter risolvere noi problemi che, pur riguardandoci, competono al Parlamento, al Governo, al Ministro, ai Rettori. Ma neppure ci rassegniamo a una tranquilla indifferenza o a ripetere slogan scontati e inconcludenti.
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Fortunatamente l’università non è rispecchiata da quello che dicono certi editorialisti di grido e la possibilità di un’esperienza positiva non è un’utopia: incontriamo professori appassionati all’insegnamento, compagni con i quali condividere l’esigenza di conoscere e di compiersi, siamo noi stessi protagonisti di iniziative culturali e di solidarietà, di orientamento e di aiuto allo studio, per tentare di rispondere ai bisogni di tutti. È in forza di questa positività presente che ha senso continuare a lavorare. Non possiamo aspettare che qualcosa si muova nei palazzi della politica per esistere ed esprimere quello che siamo.
In qualunque condizione l’università si trovi, la presenza di persone che desiderano crescere e costruire, tese alla scoperta di un ideale per cui valga la pena vivere, è un’occasione per tutti e merita di essere il più possibile difesa e promossa. Il primo contributo è quello di esserci, giorno per giorno, in università e negli organi accademici, esercitando una funzione critica e propositiva e allargando concretamente quegli spazi di libertà e di cambiamento che, anche in questa situazione, rimangono aperti.
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