SCUOLA/ Se i nativi digitali vanno fuori di testa, comprategli un cane
Gli adolescenti sono i più esposti alla dipendenza dal web e dai social network, che può diventare patologia. E i genitori spesso non sanno cosa fare. Parla FEDERICO TONIONI, psichiatra

Internet e social network danno sempre più da pensare a genitori e insegnanti. I «nativi digitali» invece minacciano una rivoluzione silenziosa. Preoccupano i fautori dell’insegnamento tradizionale, fanno gridare al miracolo gli innovatori e grattare il capo ai pedagogisti, incerti se si tratti soltanto di un banale segno dei tempi o della sospirata possibilità di plasmare indefinitamente il cervello umano. Nel frattempo lasciano perplessi molti professori, disarmati e impotenti di fronte agli sguardi inebetiti dei loro allievi, che chattano per ore ma non sanno fare un discorso – come ha scritto Paola Mastrocola – più lungo di venti secondi.
A volte però i nativi digitali si ammalano, anche. E allora sono i medici a doversi occupare di loro. Uno di questi è Federico Tonioni, autore di Quando Internet diventa una droga, appena uscito per Einaudi, psichiatra e responsabile al Policlinico Gemelli di Roma del primo centro italiano specializzato nella cura della web-dipendenza.
Come è nato il progetto di questo centro antidipendenza da Internet?
Ci parli di questa «seconda realtà» virtuale che sempre di più coinvolge i ragazzi.
Ma la struttura della nostra mente «cambia» con i nuovi mezzi digitali? Non si tratta semplicemente una nuova realtà che sviluppa in modo inedito le nostre potenzialità?
Ma detto tra noi, che differenza c’è? Tutto ciò che è funzione mentale ha una risonanza sulla struttura cerebrale. Dopo il Nobel di Gerald Edelman (1972, ndr) sappiamo che c’è una plasticità neuronale sia come funzione sia come morfologia. La nostra vita quotidiana ce lo spiega meglio di qualsiasi teoria. Prima il telefonino e poi la diffusione del computer su vasta scala hanno totalmente cambiato il nostro modo di metterci in contatto. Grazie alla tecnologia dovremmo avere moltissimo tempo libero, e invece accade esattamente l’opposto. Ha mai notato che grazie alla capacità di travalicare i limiti spazio temporali, tendiamo a fare tutto contemporaneamente? Questo mondo cambiato lo abbiamo presentato ai nostri figli in assoluta buona fede. Ma le basi della nostra mente si costituiscono in relazione con il mondo esterno dai zero ai sei anni. Essendo cambiato l’oggetto-mondo, anche il prodotto delle interazioni è cambiato con il mutamento degli ambiti spaziotemporali. L’adolescenza enfatizza la risonanza di questi fenomeni.
C’è una domanda che assilla il mondo della scuola. I «nativi digitali» esistono o no?
Perché soprattutto per loro?
Che cosa è emerso dai suoi studi e dal lavoro sui pazienti?
Che età hanno i suoi pazienti?
Sono per lo più adolescenti o ventenni che vengono individuati dai genitori. Poi, dai trent’anni in su, ci sono quelli in genere afflitti dalla pornografia e dal gioco d’azzardo online. Presentano comportamenti compulsivi legati a una dipendenza comportamentale. Ricordano molto i cocainomani, i bulimici. È un comportamento per il quale il protrarsi della durata della ricerca rappresenta la cosa più piacevole rispetto alla conclusione dell’atto in sé, cosa che avviene in tutti i modelli compulsivi.
Cosa notano i genitori, per portare i loro figli da lei?
E come si manifesta la patologia?
Si spieghi.
Torniamo ai social network. Lei prima parlava del rischio di rimanere prigionieri della rappresentazione.
I social network sfruttano questo meccanismo. Mentre il gioco d’azzardo e la pornografia sono degli atti comportamentali molto circoscritti e specifici, l’oggetto della dipendenza nel social network sarebbe la relazione con l’altro, che è nientemeno che il nostro «ossigeno», perché senza la relazione con l’altro non c’è evoluzione nel pensiero né nel modo di comunicare. Ora, il social network ha un primo livello di utilizzo assolutamente normale, in cui è goduto e se ne traggono vantaggi in termini di possibilità di comunicazione. Ma ad un secondo livello il social network può diventare uno schermo, una barriera contro gli stimoli. Un ragazzino timido che corteggia una compagna di banco, ad esempio, magari non ha il coraggio di invitarla per una pizza. Allora la «incontra» su Facebook. Ma su Facebook la relazione interpersonale presenta una diversità fondamentale: non c’è la corporeità. Tutto ciò che passa per il corpo, le emozioni, il linguaggio non verbale, è inficiato su Internet. Accade dunque che se quel ragazzino, dopo aver conosciuto meglio online la ragazzina, riesce a invitarla a mangiare una pizza, il monitor, la distanza fisica è stata funzionale, non patologica: ha fatto del bene. Ma può darsi che questo non avvenga, e che quello virtuale rimanga l’unico livello di relazione.
Esistono anche casi più gravi?
In che modo fa percepire al paziente che c’è un problema?
In cosa consiste la terapia?
Nella ricostruzione di una totalità della relazione, rispetto alla quale la patologia costituisce la deformazione abnorme del momento parziale.
Si può dunque dire che la terapia consiste in un ritorno alla «realtà-realtà», oltre la sua riduzione virtuale?
E a quel punto il «rispecchiamento» delle emozioni avviene in modo diverso.
Che ruolo ha in queste patologie il rapporto con la natura?
Viceversa che funzione può avere la natura nella terapia?
Qual è la sfida educativa che emerge da questo compito?
(Jonah Lynch, Federico Ferraù)
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