SCUOLA/ Lo strano “miracolo” di una riforma che trasforma i 4 in 6
Fine anno, scrutini, tempo di bilanci. E i prof sviliti da quelle leggi dello Stato che nascondono, dietro giusti principi, la falce dei tagli. Il commento di OLGA SANESE

La fine dell’anno scolastico è un momento importante per fare il punto della situazione. In particolare, in questi pomeriggi di giugno si svolgono i consigli di classe in cui i professori si riuniscono per decidere le “sorti” dei loro studenti. Su questo sfondo e in questa atmosfera balzano alla mente degli insegnanti alcune delle novità apportate alla scuola dal ministero Gelmini e quanto queste incidano sugli studenti, ma anche sui loro insegnanti. Infatti misure come la bocciatura con il cinque in condotta o l’impossibilità di essere ammessi all’esame di Stato con una sola insufficienza si rivelano un boomerang anche per coloro che, inizialmente, avevano salutato questi provvedimenti come un mezzo necessario per ritornare alla scuola seria e selettiva di una volta, proprio quella che è ancora agognata da insegnanti come la scrittrice Paola Mastrocola, autrice dell’acutissimo e quindi fortunatissimo libro Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare (Guanda).
Infatti i suddetti provvedimenti scolastici, nati probabilmente con l’intento di portare rigore tra i ragazzi e un ruolo dignitoso agli insegnanti, in realtà, si sono rivelati dei “nobili” strumenti per fare tagli alla scuola poiché, se venissero realisticamente attuati dalle scuole, ci sarebbe la fuga dei numerosissimi studenti ripetenti verso altre scuole (che magari non li mettono in pratica) o, ancor peggio, verso quei “Neet” che né studiano né lavorano. Il venir meno di studenti porta, di conseguenza, alla inevitabile perdita di cattedre, dal momento che le scuole ricevono soldi dallo Stato in base alla quantità degli iscritti e non alla qualità di istruzione offerta. Forse anche perché la valutazione di quest’ultima, anche attraverso le prove Invalsi, suscita ancora tante critiche.
Ad ogni modo, per far sì che non perdano il posto di lavoro, guadagnato con decenni di precariato, gli insegnanti sono costretti a mentire sull’andamento dei loro studenti; è possibile quindi imbattersi in registri che non presentano note né provvedimenti del dirigente scolastico (o vengono cancellate!) nei confronti di studenti che non si comportano affatto come dovrebbero ma che rischiano di incorrere nel cinque in condotta e, quindi, nell’automatica bocciatura di fine anno; allo stesso modo, ragazzi che non arriverebbero all’esame con tutte sufficienze vedono lievitare i loro 4 (che devono trasformarsi magicamente in 6) per non ripetere l’anno.
Ancora una volta, dunque, gli insegnanti vengono sviliti da quelle leggi dello Stato che nascondono, dietro giusti principi, la falce dei tagli. E invece i politici dovrebbero sapere che la scuola può rinascere e ridiventare un ascensore sociale solo se si adottano misure non solo giuste ma anche costose. Basti pensare allo stesso Invalsi, macchina valutativa del livello scolastico dei ragazzi, per la quale si pretende di non investire un centesimo, né pagando i professori nella correzione di prove emanate dall’alto su scala nazionale, né inviando nelle scuole personale appositamente addetto a verificare che le prove si svolgano correttamente. D’altronde se l’Invalsi è un istituto in cui lavorano a tempo indeterminato solo 20 persone (in Olanda, nazione grande come il Piemonte, 300) di che ci vogliamo meravigliare? Per fortuna ci sono i professori che, grazie alla loro vocazione, hanno a cuore più la crescita dei ragazzi che il loro portafoglio… sempre che riescano ad avere una supplenza. Ma, come direbbe Cicerone, fino a quando si abuserà della loro pazienza?
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