Sono allarmanti i dati sulla dispersione scolastica diffusi oggi da Save the Children: 114mila alunni fra i 14 e i 17 anni abbandonano la scuola e il 20% è rappresentato da studenti che vivono in Campania e 1.283 nella sola città di Napoli: ragazzi che dopo un percorso scolastico discontinuo, costellato da assenze e ripensamenti decidono di non frequentare più le lezioni. Dati che stridono con la riforma del merito fortemente voluta dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo che punta, attraverso incentivi di vario genere, a premiare gli alunni che si sono distinti per bravura e costanza. Riconoscimenti formali, come la nomina dello studente dell’anno nella propria scuola, oppure, premi tangibili come vacanze premio. Un metodo che per molti, premia i più diligenti ma inevitabilmente abbandona al proprio destino chi già fatica a seguire le lezioni o addirittura ad entrare in sintonia con il mondo della scuola.
“Una volta si diceva: prenditi u’pezzeccarta che non puoi nemmeno fa o’scopartore”. Ci ride sopra ma è serissimo il maestro Marcello D’Orta, già autore del best-seller “Io speriamo che me la cavo” e che ben conosce la realtà delle scuole napoletane e dei piccoli scugnizzi che le frequentano. O meglio, che faticano a frequentarla. “Un tempo questa era l’ammonimento per i ragazzi: oggi, però, non vale più questa regola, purtroppo. Sia perchè il lavoro non è più garantito nemmeno dalla laurea, figuriamoci dalla licenza media, sia perché le famiglie stentano a svolgere il proprio ruolo”.
Maestro, i tempi sono cambiati?
Di recente è uscito un libro che ho scritto, dal titolo Era tutta un’altra cosa: i miei e i vostri anni 60, epoca in cui la famiglia era ancora in grado di trasmettere valori. Dopo il ’68 è cominciato un periodo di calo del ruolo familiare che dura tutt’ora: è venuto meno il nucleo portante della società. La famiglia, nell’infanzia, è quell’istituzione che passa il testimone al maestro elementare che, per primo, è insignito del ruolo di educatore “esterno” al nucleo familiare. Oggi non è più così: scuola e famiglia non sono più alleate nell’educazione dei ragazzi ma si fanno la guerra. Non solo le famiglie seguono poco i propri figli ma, quando lo fanno, prendono la strada sbagliata, difendendo l’indifendibile. Una nota, una sgridata da parte di un professore può causargli guai, se non una denuncia o un ricorso al Tar. Capirà bene che i ragazzi sono disorientati perché a casa non c’è supporto educativo, a scuola non ci vogliono andare e il risultato e che sono abbandonati a se stessi.
Vuole dire che i genitori sono d’accordo con i ragazzi se decidono di abbandonare la scuola?
Io parlo per le situazioni che ho vissuto: ho insegnato a classi di 45 ragazzi, in scuole fatiscenti dove mancavano persino le lavagne e i termosifoni. Lei pensa che i genitori fossero contenti di mandare i propri figli in istituiti del genere? In più, al sud c’è anche un altro grosso problema che incentiva gli studenti a lasciare le aule: il lavoro nero. Spesso, le famiglie hanno disperato bisogno di un aiuto economico e mandano i ragazzi al lavoro anziché in classe. Ricordo un ragazzo che lavorava di notte in una panetteria e quando andai a parlare con il padre per farlo tornare a scuola, questi mi disse “Me li da di tasca sua i soldi che mio figlio guadagna ogni mese?”. Vede? Il futuro dei ragazzi del Sud è già segnato se per i genitori la scuola non conta nulla ma serve solo a distrarli da possibilità di guadagno. Poi, naturalmente, si sente il peso della camorra, che adesca i ragazzi in strada per farli diventare “muschilli” cioè moscerini, corrieri della droga. Il che significa guadagni facili di cifre importanti.
Secondo lei sono efficaci contro la dispersione scolastica gli incentivi in denaro proposti agli studenti?
E’ un errore gravissimo: il denaro e i premi non devono entrare nella sfera educativa. I ragazzi in questo modo non danno più valore all’essenza dello studio e il rischio è quello che la nostra società si trasformi in calvinista, dimenticando le proprie radici puramente cristiane. I calvinisti sono infatti convinti che Nostro Signore guardi con benevolenza chi riesce a raggiungere il successo premiando l’arrivismo più spinto: in quel tipo di società si giustifica di tutto, anche chi calpesta i valori fondamentali che stanno alla base della civile convivenza. In Italia non può funzionare in questo modo, occorre premiare i ragazzi con una pacca sulle spalle e ricordando loro che hanno solo il proprio dovere.
La riforma del merito attualmente allo studio punta a valorizzare chi è più bravo o a lasciare definitivamente indietro chi è già in difficoltà?
Esistono, soprattutto nel meridione, situazioni frustranti di disagio sociale e culturale come la povertà e l’immigrazione che impediscono a molti di poter fare bene nonostante la buona volontà. Io sono sempre a favore della buona e vecchia borsa di studio, perché per lo studente non è il fine ultimo ma un mezzo per poter continuare un percorso già intrapreso. Ricordo addirittura che nel 2007 il sindaco di New York lanciò la proposta di premiare gli studenti meritevoli con un cellulare: secondo me, non è questo il metodo giusto. E’ la morte della scuola e della famiglia. Noi dobbiamo tenerci ben stretti i valori cristiani, sui quali e fondata la nostra società: indipendentemente dalla fede, il senso della solidarietà, il rispetto, il sacrificio e l’amore reciproco sono valori universali. Esiste anche un altro aspetto che va a braccetto con la dispersione scolastica.
Quale?
Molti hanno capito che oggi anche con un diploma o con una laurea non è consequenziale trovare un lavoro. E quindi, incentivati dalla famiglia, i ragazzi tentano di trovare un impiego in anticipo senza perdere tempo sui libri, risparmiando tempo e guadagnando denaro da subito. Purtroppo, lo studio non serve soltanto a fornire il famoso “pezzo di carta” ma a formare cittadini del mondo consapevoli, che sappiano relazionarsi con i problemi della vita. E tutto questo dovrebbe essere sottolineato, in primis, dalle famiglie.
Rinnovare la didattica potrebbe servire a far tornare in classe gli alunni?
Più che la didattica dovrebbero innovarsi gli insegnanti perché l’alunno che frequenta la scuola e il giovane fuori dall’orario scolastico sono la stessa persona. I professori devono saper inquadrare la situazione sociale e familiare dell’allievo e, partendo da quella, creare un piano didattico ad hoc. Questa è la base per poi cominciare ad insegnare matematica, storia, geografia e tutte le altre materie.
(Federica Ghizzardi)