Il Rapporto Invalsi “Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 2011-12”, pubblicato il 20 luglio scorso, delinea essenzialmente un “quadro di sistema”, in cui i dati sugli apprendimenti degli studenti delle diverse classi sono restituiti per macroambiti (Italia; area geografica; regione) e in base a variabili riferite agli studenti (genere; regolarità degli studi; cittadinanza) e alle prove stesse (per l’italiano tipi di testo e grammatica).
Per le scuole il significato dei dati del rapporto va correlato, ed è complementare, con quello dei dati che vengono restituiti in autunno alla singola scuola e che ne costituiscono la “fotografia” e la base indispensabile, insieme a dati “interni”, per la valutazione della propria attività e per progettare percorsi di miglioramento.
È comunque importante che le scuole, e in particolare i dirigenti scolastici, si abituino a leggere anche il rapporto nazionale sia per avere una prospettiva più ampia (una visione di quanto accade nei vari livelli e gradi di scuola, non solo nel proprio), sia per cogliere, nella misura del possibile (non si tratta di indagini longitudinali, quindi la cosa è possibile solo in parte), determinate linee di tendenza, su cui si può avviare una riflessione con i docenti già all’inizio dell’anno scolastico.
Nella molteplicità dei dati e delle loro possibili aggregazioni, ho deciso di focalizzare qui solo due temi “critici” che mi sembrano di grande importanza: quali sono i tipi di testo la cui comprensione risulta più difficile agli studenti dei diversi gradi? Rispetto agli immigrati di 1° e 2° generazione (rispettivamente S1 e S2) che cosa ci dicono i dati? Ci segnalano miglioramenti nel passaggio da un livello scolastico all’altro?
Tipi di testo la cui comprensione risulta più difficile
Delle prove di tutti i livelli scolastici (esclusa la classe 2° primaria) fanno parte uno o più testi espositivi (nel 2012 un testo dalla 5° primaria alla 3° secondaria di 1° grado; due testi nella 2° secondaria di 2° grado): si tratta di testi che hanno principalmente la funzione di informare, in modo oggettivo, su un argomento, un fenomeno, un processo. Sono di tipo prevalentemente espositivo molti testi dei manuali scolastici, le voci di enciclopedia, le relazioni, ecc. Fra i testi espositivi presentati nel 2012 prevalgono quelli “continui” (cioè solo verbali); un testo misto (cioè composto da parti verbali e altre non verbali come mappa, grafici ecc.) è presente nella prova di 1° SSPG e in quella di 2°SSSG.
I dati dimostrano, come anche negli anni scorsi, che il testo espositivo risulta sempre più difficile di quello narrativo. La differenza di competenze necessarie per rispondere correttamente al 50% di domande su questo tipo di testo risulta piuttosto alta in tutti i livelli di scuola e decisamente molto alta nella SSPG.
Semplificando un po’ la lettura dei dati, in 5° primaria la differenza di competenza necessaria a leggere un testo espositivo rispetto a quello narrativo è di 23 punti (su una scala di 200); in 1° SSPG di 45 punti; in 3° SSPG (esame di stato) di 30 punti; In 2° SSSG di 18 punti (ma in quest’ultimo caso la differenza è minore, soprattutto perché anche il testo narrativo letterario è risultato particolarmente impegnativo).
Non è questa la sede per un’analisi più dettagliata, che pure sarebbe necessaria (è evidente che entrano in gioco numerose variabili quali la lunghezza del testo, la familiarità o meno dell’argomento, il tipo di domande, ecc.); ma si può invece fare qualche osservazione generale di tipo didattico. Probabilmente è la scarsa abitudine a leggere e comprendereil testo espositivo in classe che gioca a sfavore di questo fondamentale tipo di testo: in effetti gli insegnanti di italiano tendono a dedicare un tempo più ampio alla lettura di testi narrativi.
Tuttavia far leggere e promuovere una comprensione precisa e analitica del testo espositivo non è solo responsabilità e compito dell’insegnante di italiano, ma di tutti gli insegnanti della classe. Infatti, i testi di studio delle diverse discipline (o aree predisciplinari nella primaria) sono prevalentemente di tipo espositivo, e spesso espositivo misto: quindi non si può prescindere, come Consiglio di classe, dalla comprensione accurata e approfondita di questi testi se si vuole che gli allievi siano in grado di avere un metodo di studio e di apprendere dai testi.
Avere una comprensione analitica e approfondita di testi espositivi continui o misti è un obiettivo tipicamente trasversale, e come tale deve essere inserito nella progettazione del Consiglio di classe e concretamente perseguito dagli insegnanti di tutte le discipline.
Percorso degli immigrati di 1° e 2° generazione
Le prove di Italiano mostrano che la differenza tra studenti italiani e studenti immigrati di 1° generazione (S1) tende a restare simile ai diversi livelli di scuola: gli S1 hanno un risultato inferiore a quello degli italiani, con una differenza che si aggira tra il 20% e il 35%; il picco del 35% si ha nella classe 1° SSPG, che tradizionalmente risulta una classe “difficile” anche per gli studenti italiani (evidentemente in moltissimi casi non c’è continuità curricolare tra la scuola primaria e la secondaria di 1° grado).
Le cose vanno meglio per gli studenti di 2° generazione (S2, nati in Italia), tuttavia anche in questo gruppo non c’è molta evoluzione: la differenza media rispetto agli studenti italiani è compresa tra i valori del 18% in 5° primaria (picco negativo) e del 7% in 3° SPG (esame di stato).
Questi risultati sempre di segno negativo possono dipendere da moltissime variabili: l’età dell’inserimento (per gli S1), i ritardi (che secondo l’indagine della Fondazione Agnelli sono per gli “stranieri” del 20% già in 3° primaria, del 60% in 3° SSPG, del 73% in 5° SSSG), la dispersione scolastica (in entrambe le generazioni possibile e anzi probabile già dalla 3° media), il background socioculturale, la maggiore o minore continuità della frequenza, il livello di formalità e difficoltà della prova, ecc.
Ma con ogni probabilità essi dipendono anche da consistenti difficoltà della scuola a promuovere le competenze linguistiche nella lingua di istruzione, in particolare a far apprendere, più che la lingua quotidiana, l’italiano per lo studio: risorse spesso scarse, classi molto numerose, difficoltà di “personalizzare” i curricoli, limitate competenze specifiche degli insegnanti (in particolare per la seconda alfabetizzazione in L2, che spetta peraltro ai docenti di tutte le discipline) rendono più difficile il percorso di integrazione.
Tuttavia questo non è un “destino già scritto e inevitabile”: sono stata personalmente in contatto con alcune scuole virtuose (in particolare Istituti comprensivi dell’Emilia-Romagna e della Toscana), con un rilevante numero di studenti di altra cittadinanza, che, attraverso un robusto sostegno per la prima e la seconda alfabetizzazione, concordato e gestito dalla scuola e dal territorio, arrivano alla fine del primo ciclo di istruzione con S2 che nelle prove di italiano ottengono risultati pari e qualche volta migliori degli studenti italiani, mentre gli S1 ottengono risultati spesso più bassi di quelli complessivi della scuola, ma comunque uguali o leggermente più alti dei risultati medi nazionali.
In questo senso i risultati delle prove suonano, e non solo da quest’anno, un campanello d’allarme sulla reale integrazione e inclusione dei “nuovi italiani”, al quale dovrebbero re-agire, ognuno per la sua parte, decisori politici, e in primo luogo il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca (occorrono più risorse per le scuole in cui ci sono molti “stranieri”, occorre maggiore formazione iniziale e in servizio per gli insegnanti), gli enti locali, le autonomie scolastiche, le associazioni e organizzazioni di vario tipo presenti sul territorio.
Perché, come dicono le “Indicazioni per il curricolo per il primo ciclo di istruzione”, in particolare nella revisione del 2012: “La complessità dell’educazione linguistica rende necessario che i docenti delle diverse discipline operino insieme e con l’insegnante di italiano per dare a tutti gli allievi l’opportunità di inserirsi adeguatamente nell’ambiente scolastico e nei percorsi di apprendimento, avendo come primo obiettivo il possesso della lingua di scolarizzazione”.