Sono iniziati ieri e proseguiranno oggi e per i prossimi giorni i test di ingresso per l’accesso alle facoltà a numero chiuso. Partenza ieri per il primo questionario di cultura generale per accedere ai corsi di laurea di Medicina ed Odontoiatria: oggi, invece, gli aspiranti medici affrontano il test per seguire le lezioni in lingua inglese. Il giorno successivo toccherà ad architettura mentre il 10 settembre sarà la volta di veterinaria e l’11 al via i test per le facoltà dedicate alle professioni sanitarie. A livello locale, sono moltissimi gli atenei che hanno inteso porre il limite del numero chiuso per parecchi corsi di laurea: si stima quasi la metà, vale a dire il 55%. Una percentuale altissima che non manca di suscitare qualche polemica. Per la facoltà di Medicina, ad esempio, sono disponibili 10.173 posti su 77mila domande presentate. Di fatto, su otto candidati solo uno riuscirà ad “conquistare” la frequenza al corso che gli permetterà di esercitare la professione di medico mentre gli altri dovranno tentare con altre facoltà o saranno costretti a riprovare l’anno prossimo. Secondo i dati della Conferenza dei presidi della facoltà di Medicina, nell’anno 2011-2012 gli iscritti al test di ingresso a medicina erano 99.280 di cui 84.552 nelle facoltà pubbliche, 1.197 ai corsi in inglese, 13.531 nelle facoltà private. Quest’anno sono 97.284 i candidati totali, di cui 77.043 nelle pubbliche (-8,8% in un anno), 4.369 per i corsi in inglese (+264,9%), 15.872 nelle private (+17,3%) segnando, quindi, un aumento esponenziale per le lezioni in lingua straniera negli atenei privati. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Giliberto Capano, docente di Scienza politica nell’Università di Bologna.
Professore, innanzitutto, lei è d’accordo sul test d’ingresso come strumento per stabilire l’accesso alle facoltà?
Sono d’accordo sul fatto che ci debbano essere delle prove selettive ma non sulla tempistica con cui queste vengono svolte. In moltissimi Paesi, le prove di ingresso vengono sostenute prima delle vacanze estive: un sistema che io giudico più “civile”, perchè permetterebbe a studenti ed atenei una migliore organizzazione. Sarebbe, poi, utile che le iscrizioni avvenissero prima e non dopo le vacanze, soprattutto, per gestire al meglio le lezioni per quelle facoltà che non sono a numero chiuso. Mi sembra una follia che le prove siano fissate a ridosso dell’inizio dell’anno accademico: se lo studente, per varie ragioni, non dovesse passare un test si vedrebbe costretto a scegliere altre facoltà per puro ripiego.
E’ il caso di Medicina per cui solo uno studente su otto potrà accedere al corso di laurea per diventare dottore..
Il numero chiuso per la facoltà di Medicina è una prassi consolidata in tutto il mondo ed è una scelta più che ragionevole. Come dovrebbe essere anche per intraprendere la facoltà di Giurisprudenza che, come Medicina, richiede attitudini specifiche. Il problema è che il numero dei partecipanti ai corsi è stato ristretto in maniera esagerata e questo potrebbe portare, fra dieci anni, ad una carenza di medici.
Nel merito, sono davvero utili i test d’ingresso? E’ emblematico il caso del medico che è stato bocciato ad un test d’ingresso di Medicina per via di alcune domande che esulavano dalla professione.
Il test non dovrebbe contenere nozioni troppo specifiche poiché le carriere scolastiche degli studenti sono diverse: le conoscenze acquisite al liceo classico sono, chiaramente, diverse da quelle dello scientifico. La via più logica sarebbe quella di scegliere domande che presuppongano non una nozione ma bensì un ragionamento. A mio parere, i requisiti che non dovrebbero mancare per uno studente che si appresta ad entrare in una facoltà come Medicina dovrebbero essere: un buon voto alla maturità, una solida preparazione generale ma, soprattutto, delle fortissime motivazioni. Queste ultime sono alla base per chi si appresta ad un mestiere tanto impegnativo e vocazionale.
Come è possibile verificare quest’ultima opzione?
Attraverso colloqui orali “ad personam”. Per evitare il caos causato, come dicevo prima, dai test “dell’ultim’ora”, la soluzione sarebbe istituire un test pre-selettivo prima che i ragazzi dell’ultimo anno sostengano l’esame di maturità e poi, scremare i candidati a luglio con un colloquio attitudinale e motivazionale. Il risultato è chiaro: prima delle vacanze estive è stabilito con precisione chi potrà accedere ai corsi. Purtroppo, questa proposta ha un piccolo inconveniente: il colloquio darebbe adito a polemiche su eventuali raccomandazioni.
Molti studenti affronteranno più test. E’ corretto che le facoltà permettano che questo avvenga?
Questo avviene perchè non esiste un coordinamento fra le varie facoltà. Prendiamo l’esempio degli atenei anglosassoni dove vige da sempre una rete di collegamento attraverso un sistema, forse, competitivo ma ben congegnato. In Inghilterra, Stati Uniti e Australia esistono forti disparità fra università più o meno prestigiose che, a loro volta, hanno la facoltà di scegliere chi accederà ai corsi in base al curriculum applicando una forte discriminante data dai voti conseguiti dallo studente negli anni del liceo. Insomma, un sistema ordinato, efficiente e senza prove centralizzate.
Al voto conseguito alla maturità viene dato il giusto peso o dovrebbe essere considerato come parte integrante e portante per accedere ad alcune facoltà che richiedono i test di ingresso?
E’ noto che, storicamente e statisticamente, che le medie dei voti conseguiti alla maturità siano più alti al Sud rispetto al Nord, sebbene, io ritenga che un punteggio alto, mi riferisco a quelli che superano il 90, è sinonimo di una buona preparazione. Il voto rimane un’ottima discriminante per giudicare la preparazione di uno studente se, però, unito ad un colloquio attitudinale.
(Federica Ghizzardi)