Scegliere una facoltà universitaria non può dipendere solo dalle informazioni che vengono fornite a riguardo. Fa parte di un vero e proprio passo di maturità. GIANNI MEREGHETTI
Caro direttore,
il ministro Profumo lancia l’allarme sull’orientamento, facendo presente che il 20 per cento degli studenti al primo anno si accorge di aver sbagliato scelta universitaria e che il 40per cento, alla fine del percorso, dice che non avrebbe scelto la facoltà frequentata.
La conseguenza che il ministro Profumo trae da questa preoccupante situazione è che le università sono deboli nel dare informazioni, e che è precisamente a questo livello che occorre prendere l’iniziativa, potenziando l’orientamento, dunque con un surplus di informazioni più precise e definite.
Ora, le informazioni sono certamente utili; occorre però anche notare che ciò su cui si sono impegnate le università in questi anni sono proprio le informazioni: gli atenei hanno bombardato gli studenti delle scuole superiori di informazioni, e sempre più specifiche, sempre più nel dettaglio. I dati preoccupanti che il ministro fornisce dovrebbero allora portare ad una riflessione seria sull’orientamento, una riflessione che parta proprio da questa semplice constatazione: in questi anni l’impegno a dare informazioni è stato inequivocabile, eppure questo non ha impedito a tanti studenti e studentesse di sbagliare scelta. Possiamo a questo punto chiederci: come mai? Come mai le informazioni non bastano per fare la scelta giusta? Come mai si possono avere a disposizioni tante e precise informazioni e si può finire con il commettere errori su errori?
La questione è semplice: scegliere la facoltà universitaria non dipende solo dai ragguagli che si hanno. E non è nemmeno un meccanismo per cui, dati l’interesse e la capacità, risulti la facoltà cui iscriversi. Scegliere una facoltà universitaria è un passo di maturità, è mettere in gioco la propria vita, il proprio futuro, la stima che si ha di sé, nella prospettiva di lasciare un segno dentro la realtà. Per questo il problema non è solo di avere informazioni, ma anche e soprattutto di chiarire quali siano i criteri in forza dei quali scegliere; che cosa un giovane d’oggi possa mettere in campo e che lo faccia crescere, lo faccia diventare uomo.
La realtà è che ciò su cui sono deboli oggi scuole superiori e università a riguardo dell’orientamento non sono le informazioni: la debolezza sta nel non accompagnare i giovani nella scelta, e il primo modo di accompagnare un giovane nella scelta è aiutarlo a capire chi è, che valore ha la sua vita, che importanza ha la sua umanità. La domanda da cui parte un processo di orientamento non è: che cosa debbo o posso fare, ma: io chi sono? E’ questa domanda che manca in tutti i progetti di orientamento, ed è perché manca questa domanda che si va incontro ad errori spesso fatali.
Urge quindi prendere sul serio l’allarme del ministro Profumo, e prima di organizzare visite su visite nelle università, aiutare gli studenti dell’ultimo e penultimo anno di scuola superiore a prendere coscienza del valore della loro umanità, della ricchezza che ognuno porta. Da una nuova, più vera affezione a sé scaturirà la passione che fa fare tutto il resto.
Ripensare l’orientamento è dunque introdurre negli ultimi anni di scuola superiore uno sguardo nuovo, uno sguardo che aiuti gli studenti ad avere una capacità di sintesi tale da portarli finalmente a conoscere ciò che studiano, e con questo, a maturare una nuova coscienza di sé e a prendere in mano il loro io. La prima mossa allora sta nel riconsiderare lo studio, cambiandone l’impostazione: dal gestire un accumulo di informazioni allo scoprire che ogni oggetto, appreso criticamente, fa crescere l’io. Questo è conoscere, ed è questo il primo passo di un orientamento serio.