La crisi, avvitandosi su alcune storture del nostro sistema, ha prodotto alcuni effetti particolarmente tristi e perversi. Tra questi, vi è il drastico calo di iscritti all’Università. Un mondo che, già di per sé, in Italia, è sovente al di sotto degli standard di meritocrazia, efficienza e legame con il mondo del lavoro degli altri Paesi europeo. Ora, con il sopraggiungere della tempesta economica, le famiglie degli studenti sono sempre meno in grado di pagare le tasse universitarie, il vitto, l’alloggio e i libri ai propri figli. Uno studio realizzato da Cineca, il consorzio inter-universitario che gestisce l’anagrafe accademico, rivela che in soli tre anni si sono perdute 30 mila nuove immatricolazioni. In 9 anni, la cifra raggiunge le 70mila unità. E’ il dato più basso degli ultimi 25 anni: 267.076, contro i 276.249 del biennio 1988/1989. Il fenomeno è preoccupante e, anche in questo settore, rischia di piombarci all’ultimo posto delle classifiche europee. Attualmente, siamo quartultimi per iscritti sul numero di abitanti. Come se non bastasse, nella classifica europea del numero di giovani laureati, siamo al penultimo posto, con il 21% di laureati tra i 25 e 34 anni. Siamo davanti solo alla Turchia. Come se non bastasse crolla anche la qualità. Intanto, nella classifica 2012/2013 di The (il settimanale Times higher education), tra le prime 400 università europee, le nostre si collocano in posizioni umilianti: la Statale di Milano, Milano Bicocca e l’Università Trieste sono tra il 251° e il 275° posto. Bologna, Trento e Torino sono tra il 271° e il 300°.