Caro direttore,
ho conosciuto Franca Falcucci nel 1976. Lei sottosegretario alla Pubblica istruzione, io un giovane laureato che aveva cominciato la carriera scolastica come insegnante di ruolo. Allora ero stato temporaneamente distaccato al Centro didattico nazionale di Firenze che stava chiudendo i battenti. L’incontro non fu casuale ma organizzato da Antonio Augenti, dirigente del ministero incaricato dei rapporti internazionali che avevo incontrato tempo prima a Frascati, al Cede (Centro europeo per l’educazione).
In quell’occasione avevamo parlato di un progetto estremamente innovativo che aveva visto a Ginevra: si trattava in sostanza di un centro documentazione basato sul collegamento ad un grande computer (era la stagione dei mainframe, dei giganteschi computer che lavoravano con schede perforate senza terminali). L’argomento mi aveva incuriosito: mi ero occupato di informatica da studente frequentando l’ambiente universitario di Pisa dove il Cnuce e la Normale realizzavano progetti di eccellenza. Feci ad Augenti moltissime domande e alla fine gli dichiarai il mio grande interesse per questi temi mettendo a disposizione la mia limitata esperienza in questo settore nascente. Augenti mi organizzò subito un incontro con la Falcucci che, mi disse, era interessata a creare in Italia un moderno sistema di documentazione. L’informatica avrebbe senz’altro potuto essere uno strumento straordinario per questo percorso progettuale.
Andai così al ministero per la prima volta e mi trovai davanti ad una persona che mi ascoltò, mi fece molte domande e alla fine mi propose di rimanere al Centro didattico per un anno. Mi fece una grande impressione. La capacità di analizzare quanto le stavo dicendo, l’umiltà di chiedere spiegazioni di quanto non sapeva o non comprendeva non erano certamente atteggiamenti “normali” per una figura della sua statura. Mi chiese di lavorare ad uno studio di fattibilità per creare anche in Italia un moderno centro di documentazione sulla scuola. Confesso che rimasi lì per lì piuttosto disorientato e allo stesso tempo lusingato dall’attenzione e della fiducia che mi era riservata. In fondo ero un giovane professore e la sua fu una scelta coraggiosa basata esclusivamente sulla sensazione positiva che le avevo suscitato.
Allora erano pochissimi coloro che sapevano qualcosa di computer ed informatica e lei non faceva eccezione. Ma aveva intuito le grandi potenzialità del tema anche senza comprendere in profondità le connessioni con il mondo della scuola. Anche io, per la verità, ero molto perplesso. Ma avevo voglia di capire ed approfondire. Ebbi finanziamenti che mi consentirono di passare un lungo periodo negli Usa e di studiare il sistema Eric, conoscere una realtà tecnologicamente avanzata e riportare in Italia un disegno ambizioso che all’epoca poteva sembrare un sogno. Che cosa aveva a che fare la scuola, la pedagogia con il computer? Al rientro dal mio viaggio le idee erano più chiare. La Biblioteca di Documentazione di Pedagogia era pronta, sul piano della progettualità, a convertirsi in Rete Italiana di Documentazione di Pedagogia. Era il disegno per il quale alcuni anni prima Franca Falcucci mi aveva “ingaggiato”, immaginando il futuro.
Le prime esperienze apparivano addirittura fantascientifiche: la Nazione di Firenze intitolò un articolo “Progetto fantascientifico presentato al ministro Pedini”. Nel 1985 si inaugurò la rete che collegava tutti gli Irrsae alla Bdp attraverso le tecnologie dell’epoca. Franca Falcucci era ministro e ricordo che venne personalmente a Firenze con l’allora rettore Ruberti per l’inaugurazione e prendendomi da parte mi disse: “Professore oggi è la sua festa”. Negli stessi anni varò il Pni, introducendo l’informatica nei curricoli scolastici.
Appariva a molti come una donna conservatrice, un po’ “ancien régime” ma aveva un grande amore per la scuola ed era capace di guardare lontano. Non si faceva irretire dalla struttura interna del ministero: se un direttore generale faceva resistenza, prendeva carta e penna e scriveva di suo pugno la circolare alle scuole. Era una donna operativa che aveva dedicato la sua vita al ministero e che nel suo lavoro metteva energia e intelligenza. Oltre ad un grandissimo rigore.
Concludo questo piccolo ricordo personale con grande gratitudine per un ministro schivo e riservato. Per molti politici viale Trastevere era un ministero di secondo piano, per lei era il cuore del sistema.