Il mio giudizio è positivo. Sia nel merito che nel metodo. Nei contenuti perché mette al centro il merito, l’autonomia, l’alternanza scuola lavoro. Nel metodo perché fino al 15 novembre ognuno avrà la possibilità di proporre le proprie soluzioni e le proprie proposte”. Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, parla con il sussidiario del piano Renzi sulla scuola.
Si fa un’assunzione ope legis di 150mila persone, a prescindere proprio dal merito, non le pare?
Sicuramente è una priorità porre fine alle graduatorie (Gae) e alla condizione di precarietà che esse hanno generato, ma va tenuto in debito conto che non basta dire che si darà il via alle assunzioni per risolvere il tutto, ma sarà fondamentale governare con realismo e lungimiranza tutta l’operazione per non svilire la professione docente e per realizzare con efficacia un organico dell’autonomia. La questione, quindi, è più complessa di come può sembrare a prima vista.
Ma più complessa in che senso?
Approfondendo la problematica delle Gae ho verificato che in esse sono inserite persone titolate, con esperienza, master, dottorati e che meritano di rimanere nella scuola stabilmente. Non posso però non considerare i giovani, ossia tutti coloro che hanno concluso il percorso di abilitazione del Tfa che a pieno titolo meritano di entrare nella scuola e soprattutto di non esserne tagliati fuori. Ecco perché non si può pensare all’assunzione dei docenti nelle Gae senza predisporre un sistema stabile di reclutamento che assicuri il concorso ordinario in modo costante e ciclico, tale per cui tutti i migliori possano entrare nella scuola.
Dunque: assunzione dalle Gae, concorsi regolari, abilitazione, esperienza sul campo… Dove sarebbe la novità? Sono tutte parole già sentite.
La novità sta nel fatto che per anni ci si è limitati a gestire e contenere il problema, ora lo si vuole risolvere.
Il documento è stato criticato perché improntato, per la maggior parte (quella che riguarda il collocamento dei 150mila) a logiche meramente occupazionali. Cosa risponde?
È sul “meramente” che non sono d’accordo. Per decenni la scuola è stata in Italia il vero ammortizzatore sociale e questa “logica occupazionale” ha generato tante disfunzioni che ci troviamo a dover affrontare oggi. La differenza con la proposta della buona scuola sta nel fatto che si vogliono assumere docenti per realizzare un organico dell’autonomia al fine di creare risposte precise e stabili a criticità che segnano continuamente la quotidianità della scuola oggi: dispersione, bullismo, personalizzazione dei percorsi, accoglienza degli stranieri, inclusione, flessibilità ecc. Nel documento della buona scuola la logica occupazionale è legata alla logica della valorizzazione docente di una formazione continua e di nuovo stato giuridico del docente stesso. Mi sembra errato quindi dire che lo sguardo sul mondo della scuola è focalizzato unicamente sull’occupazione del precariato.
Un nodo non risolto sembra quello delle coperture. Sa dirci quanto costa l’operazione docenti, e può garantire che sarà finanziata in un momento di vacche magre come questo? Siamo alla vigilia di una finanziaria da 20 miliardi.
La manovra descritta ha un costo calcolato nel documento di oltre 3 miliardi di euro. Sul punto sarà fondamentale la concertazione tra ministeri ed in particolare il Mef insieme alla presidenza del Consiglio.
Si citano gli “early leavers”. Perché secondo lei la scuola non è in grado di tenere con sé i giovani?
La scuola perde attrattiva per i ragazzi quando questi non scoprono i propri talenti e le proprie vocazione e soprattutto, quando non si accorgono del nesso che ha l’impegno scolastico con la realtà. Ecco perché la scuola deve proporre il più possibile situazioni di apprendimento significative dove i ragazzi possano mettere le “mani in pasta”, per questo mi batto affinché le scuole abbiano laboratori e attrezzature adeguati. Non di meno potenziare il rapporto tra mondo della scuola e mondo del lavoro renderà sicuramente più efficace il percorso dei ragazzi e più stabile la loro permanenza nella scuola.
Nel documento si parla giustamente di alternanza scuola-lavoro. Quella tedesca prevede la doppia frequenza a partire da 14 anni di scuola e lavoro in azienda. Il piano Renzi parla di un “monte ore” complessivo. Non è un po’ vago?
Per avere il modello tedesco occorrerebbe avere anche il loro modello imprenditoriale, manifatturiero, le loro risorse e la loro mentalità per la quale il rapporto scuola-imprese è un punto di forza e non uno svilimento. Il nostro obiettivo è quello di creare strumenti che avvicinino scuola e lavoro, destinare nuove risorse, modificare norme troppo restrittive, ma soprattutto potenziare e mettere a sistema l’alternanza scuola-lavoro rendendola un indicatore di qualità del nostro sistema di istruzione e formazione.
“Mettere a sistema”, dice. Che cosa abbiamo in mano?
Non siamo all’anno zero: Its, poli tecnico formativi, botteghe scuola, apprendistato negli ultimi due anni di scuola secondaria di secondo grado, sono una realtà. Il piano “La buona scuola” prevede 600 ore di alternanza scuola lavoro negli ultimi tre anni del percorso degli istituti tecnici e professionali. Attualmente nelle scuole si fanno meno di 100 ore di alternanza, e in particole negli ultimi due anni. Per capire perché vogliamo aumentare così tanto le ore, occorre andare in una qualsiasi scuola dove viene realizzata l’alternanza, parlare con i ragazzi che hanno fatto un’esperienza in azienda anche solo per poche settimane, sentirli parlare e vedere dai loro sguardi che da quell’esperienza nasce un interesse nuovo anche verso le materie più ostiche. Facendo esperienze significative si corre il rischio di capire che tutto diventa più interessante.
Si parla tanto di introdurre criteri di merito nella scuola. Che significa, in concreto?
La valutazione viene concepita come strumento generale, flessibile e complesso, costituito su diversi attori e numerosi strumenti che ne garantiscono l’affidabilità. Anche su questo punto sarà fondamentale l’analisi delle proposte delle idee che ci perverranno attraverso la consultazione. Per quanto riguarda le scuole è stata firmata la direttiva sulla valutazione e pertanto partirà l’autovalutazione delle scuole. Per quanto attiene la carriera e lo sviluppo professionale dei docenti, il piano è tutto da costruire; nel documento vengono indicate la carriera retributiva (non solo per anzianità) ma per meriti professionali dati da un sistema di crediti didattici, formativi e professionali.
Ci spieghi.
I crediti didattici si riferiscono alla qualità dell’insegnamento in classe e alle capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti, i crediti formativi faranno riferimento alla formazione in servizio a cui tutti sono tenuti, all’attività di ricerca e alla produzione scientifica. I crediti professionali sono quelli maturati ricoprendo, all’interno dell’istituzione scolastica, ruoli funzionali all’organizzazione e al miglioramento della scuola.
Non crede che il nuovo docente che il governo ha in mente presupponga un nuovo profilo professionale e con esso un nuovo stato giuridico? Tra l’altro il documento lo dice esplicitamente. Come pensate di agire?
Il nuovo profilo professionale e il nuovo stato giuridico del docente sono punti cruciali e fondamentali per un vero rinnovamento della scuola. Ma non si può affrontare un simile argomento senza ascoltare quello che hanno da dire tutti coloro che la scuola la fanno quotidianamente. Ecco perché prima di procedere, si farà un attento studio di tutto ciò che in merito perverrà nella consultazione.
A che punto siamo sul fronte dell’autonomia scolastica?
Attualmente l’autonomia è solo un’autonomia funzionale e non effettiva. I fondi sono accentrati nella Banca d’Italia e la gestione è lasciata alle scuole secondo precise indicazioni, il personale è gestito centralmente e viene subìto dalla scuola, perché in molte procedure la scuola è spettatrice passiva e non protagonista attiva. Abbiamo una delle migliori leggi sull’autonomia ma al momento non è stata realizzata pienamente. Autonomia significa anche buona governance della scuola e quindi dirigenti scolastici messi in condizioni di lavorare e quindi di essere valutati e selezionati per la loro professionalità secondo un nuovo sistema. Autonomia significa uscire dall’autoreferenzialità, aprirsi all’esterno, fare rete, ma soprattutto dare maggiori possibilità ai ragazzi.
Intanto il concorso nazionale, uguale per tutti, resta l’unica modalità di reclutamento dei docenti. Non è una contraddizione?
Il concorso nazionale è un dettato costituzionale. In quanto tale non può essere ignorato. Un concorso ordinario su base nazionale garantisce a tutte le scuole lo standard di riferimento del livello professionale. Ma sarebbe interessante riflettere e trovare soluzioni che consentano un matching proficuo tra competenze e profilo dei docenti e offerta formativa della scuola.
In tema di apprendistato che cosa pensate di fare?
Vogliamo potenziare la sperimentazione dell’apprendistato e diffondere con protocolli ad hoc il programma di apprendistato negli ultimi due anni, lanciato nel 2014 con l’articolo 8bis del d.l. 104/2013: al riguardo, il successo del Progetto Enel è incoraggiante e sarà un modello per altre esperienze simili. Non vogliamo sminuire la “conoscenza”, l’istruzione classica o scientifica. L’intento è quello di far fare esperienze, aprire la scuola alla realtà nella certezza che quando un ragazzo fa una scoperta questa porta al cambiamento di tutto, anche di quelle materie più difficili. Tutto prende un significato, anche la matematica, come mi disse un ragazzo dopo un periodo in azienda in un istituto tecnico.
Nel documento sembra mancare un punto, la parità scolastica: non viene neanche citata. Perché?
Qualche giorno fa in una riunione del mio partito, Ncd, insieme agli amici dell’Udc e dei Popolari per l’Italia questo tema, e questa mancanza, è emersa come un problema politico visto che, come molti mi ricordavano, siamo l’unico paese europeo a non avere una reale ed effettiva parità scolastica e a non riconoscere quindi la libertà di scelta educativa della famiglia. Penso che nei due mesi di consultazione in merito al documento “La buona scuola”, arriveranno contributi dal mondo delle paritarie perché questo mondo è abituato ad essere propositivo. Sarà l’occasione per riflettere se aggiungere un punto affinché la “buona scuola” sia ancora più buona.
Dal punto di vista della parità qual è il problema più importante?
E’ un problema è culturale, di conoscenza. Le scuole paritarie non si conoscono e si giudica con pregiudizio. Così, viene a mancare un clima sereno per parlare in prospettiva di parità scolastica e questa serenità manca anche per parlare di un problema più contingente che non ha a che fare con la prospettiva ma con la sopravvivenza e quindi con il presente, ovvero i fondi.
Quindi resta irrisolto il problema dei fondi per le paritarie?
Sì. Questa partita non si giocava e non si può giocare in un documento generale di linee guida. Passa dalla legge di stabilità, dove occorrerà lavorare tutti per il reintegro dei fondi per il 2015. Siamo già al lavoro per questo e credo che quella sarà anche l’occasione per capire se si vuole affrontare il tema della parità scolastica con realismo o con ideologia.
Molti punti in programma nel piano scuola richiederebbero un passaggio parlamentare che in questa fase si rivelerebbe complesso e difficile. Questo non le sembra relegare in un futuro incerto molte delle cose previste?
Non si possono realizzare cambiamenti così radicali senza un valido confronto parlamentare. L’unico metodo che un Paese democratico ha per realizzare riforme fondamentali è quello del passaggio alle Camere. Il fatto che questo possa essere difficoltoso non lo rende un ostacolo, ma solo una condizione da attraversare.