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Home » Educazione » SCUOLA/ “Gonzo”, quel grumo di cellule che ha “incastrato” Meg

  • Educazione

SCUOLA/ “Gonzo”, quel grumo di cellule che ha “incastrato” Meg

Luigi Ballerini
Pubblicato 30 Novembre 2014
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Gonzo del Muppet Show (Immagine d'archivio)

Una ragazza alle prese con una gravidanza, imprevista e sconvolgente. Cosa farà? terrà il bambino oppure no? E' il tema del romanzo "Aspettando Gonzo" di Dave Cousins. LUIGI BALLERINI

Una ragazza alle prese con una gravidanza, imprevista e sconvolgente. La letteratura per giovani, così capace di pescare nel reale di oggi, non poteva non occuparsi anche di questo tema. Ricordiamo al proposito La sottile linea rosa di Annalisa Strada che ha vinto il Premio Andersen 2014 come miglior libro per lettori oltre i quindici anni. In questa storia la questione della scelta se tenere o no il bambino resta sospesa, non perché l’autrice si sottragga a prendere posizione quanto perché la sua intenzione è piuttosto raccontare il prima, gli accadimenti in Perla e nella sua famiglia alla notizia della gravidanza. 


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Una scelta invece Meg la fa in Aspettando Gonzo di Dave Cousins, il bel romanzo da poco uscito in libreria per San Paolo Ragazzi destinato a lettori dai dodici anni in su. Di Cousins ricordiamo Quindici giorni senza testa, Premio Andersen nel 2013.

In Aspettando Gonzo il protagonista Marcus, detto Oz, ha tredici anni, vive in famiglia con una sorella sedicenne (Meg, appunto) e ha appena traslocato in una nuova casa presso una sperduta località di campagna. Certo non il massimo, per un ragazzo abituato alla vita di Londra, alle novità musicali e agli amici davvero cool. Il senso di estraneità è però reciproco e i nuovi compagni di scuola considerano Oz troppo originale. Per lui non è affatto semplice l’inserimento in un posto così diverso e lontano dalle abitudini cittadine.


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La storia di questo adattamento in una nuova realtà è narrata in prima persona dalla voce di Oz, che si rivolge direttamente a G. Teneramente a G. 

A G viene raccontato dei nuovi amici, dell’evoluzione, anche a sorpresa, dei loro caratteri, del ribaltamento di alcuni pregiudizi iniziali. A G viene raccontato ciò che lui non può ancora vedere.

G sta per Gonzo. Sì proprio quello del titolo. Forse a noi italiani non viene immediato il ricordo, ma Gonzo è uno dei personaggi del Muppet Show, un animale indefinito (simile a un pollo) con il pelo blu, il naso a forma di becco adunco e tre piume sulla testa.


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Oz si rivolge a G, il figlio che sua sorella Meg porta in grembo, concepito nella realtà, ma così inconcepibile nel pensiero da sentire il bisogno di dargli una forma, seppur fantastica, e un nome. Soprattutto un nome. Quel nome che diventa centrale nella vicenda della gravidanza di Meg.

Rubiamo al riguardo un frammento di dialogo tra Meg e Oz.

«Continuavo a ripetermi che non era un bambino, solo un gruppo di cellule. Per me non significava niente. Ma tu hai dovuto dargli un nome. Hai dovuto farlo sembrare una persona vera — chiamandolo Gonzo e non parlando d’altro tutto il tempo. Stavo seduta lì… ma tutto quello che sentivo era la tua stupida voce: “Lo sapevi che Gonzo è ormai grosso come un pollice? Lo sapevi che Gonzo ha i capelli?”. E ho capito che era troppo tardi. Grazie a te, la cosa dentro di me era già Gonzo – era già una persona. Così ora sono incastrata. Incastrata qui in questo maledetto posto e sto per avere un bambino. Ed è tutta colpa tua!» 

Aspettando Gonzo è l’esempio di come si possa parlare di tutto ai ragazzi, senza censure e moralismi, ma anche senza scadere nel cinismo.

Meg aspetta un bimbo e la scelta di cosa fare non è automatica. Non è scontata nemmeno la reazione dei famigliari, delle persone vicine e più care. E una volta fatta una scelta non è affatto detto che diventi tutto facile; resta invece inalterata la drammaticità della situazione, resta la fatica, restano le paure. Incastrata si sente Meg. Incastrata perché sa che la sua giovinezza non potrà essere più la stessa, che tutto sarà necessariamente diverso. Non ci sono né campane né violini che suonano in questa storia, non ci sono soluzioni facili e predeterminate, c’è piuttosto la progressiva consapevolezza, non ingenua e anche sofferta, di una ragazza e della sua famiglia che decidono senza scontatezza per ciò che ritengono il meglio.

È un nome a fare la differenza. 

Chiamare le cose e le persone per nome le toglie dall’anonimato in cui a volte siamo tentati di buttarle, conferisce consistenza e dignità e valore.

Saper chiamare le cose con il loro nome, sembra dirci Cousins, è una virtù che aiuta a orientarsi, che permette di distinguere e discernere.

Buffo come in questa storia il nome decisivo sia proprio Gonzo, che dalle nostre parti è sinonimo di sciocco, ingenuotto. Ma forse va proprio così, di solito non sono gli intelligenti a salvarci la pelle.


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