I Colloqui fiorentini mi hanno cambiata. Non avrei mai creduto possibile sentire Gabriele d’Annunzio più vicino, più vivo e più uomo di compagni di classe, di amici, di sguardi incontrati per strada ogni giorno. Gabriele d’Annunzio è, in grande, me.
Ai Colloqui fiorentini ho conosciuto un uomo, non ci crederete ma io ci ho parlato. Mi ha raccontato dell’amarezza che sente dietro ogni piacere, del suo modo singolare di guardare la realtà. Mi ha insegnato che gli oggetti parlano e che “in ogni cosa è posta una volontà di rivelazione: una volontà di dire”. Mi ha mostrato come le parole con significati simili evochino sensazioni diverse che possono anche far sentire i vestiti appiccicarsi addosso per la pioggia. Ho scoperto che Gabriele d’Annunzio ha il mio stesso cuore. Ho pensato che magari avrebbe potuto aiutarmi a cercare la beatitudine eterna, che avremmo potuto arrivare insieme all’infinito. Ho creduto che avesse le risposte che cercavo ma dopo tre giorni di discussione ho capito che non avevo capito niente. In realtà penso un po’ di odiarlo; come quando incontri una persona e la tua vita cambia completamente, quando la sua trasparenza ti sconvolge e un po’ ti arrabbi perché per colpa sua non sai più chi sei, per colpa sua ti viene da essere migliore, da impegnarti di più, e vorresti urlargli che sarebbe stato meglio se non l’avessi incontrata.
Sono entrata nell’auditorium dei Colloqui fiorentini pronta a gridare al mondo quello che avevo scoperto. E poi? Ho trovato persone che avevano letto d’Annunzio al mio stesso modo, che ci avevano trovato le stesse cose, e mi sono sentita straordinariamente piena, meno sola. Mi è venuto in mente Virgilio, il suo aggettivo unanimus, dalla stessa anima, e mi sono sentita “eletta”, “elevata”, mi sono stupita di quanto fossi “colta” e ho sorriso: ho pensato di essere proprio entrata nel personaggio.
Ai Colloqui fiorentini ho visto uomini parlare di Gabriele d’Annunzio come fosse loro fratello, amico, con una stima incredibile, con una passione travolgente, con la luce che brillava nei loro occhi e che illuminava i cuori anche alle ultime file. Ho sentito il silenzio, ho percepito interesse, attenzione in una stanza piena di 1800 uomini con anime, vite, fattezze, caratteri ed emozioni proprie e diverse. Ho visto persone che nella loro più alta espressione di libertà avevano scelto di fare migliaia di chilometri per partecipare a seminari di letteratura senza che nessuno glielo avesse chiesto o imposto. Ho visto uomini difendere Gabriele d’Annunzio, persone che conoscevano la bellezza e si lasciavano stupire. Ho visto uomini mettersi in gioco e mettere in discussione tutta la loro esistenza aprendo il proprio cuore alle domande, perché per avvicinarsi alla letteratura ci vuole coraggio.
I Colloqui fiorentini mi hanno cambiata. Non avrei mai immaginato di desiderare così tanto l’infinito. Non avrei mai creduto possibile sentire accendersi in me una così grande voglia di cercare la Bellezza in tutte le cose. Non avrei mai pensato di poter essere io stessa portatrice di bellezza. Mi sono sentita viva, probabilmente come mai prima. Ho riscoperto me stessa, ho riconosciuto in me una potenzialità indicibile.
Ai Colloqui fiorentini ho imparato a guardare, ad ascoltare. Ho sentito persone riportare le proprie scoperte, metterle a disposizione degli altri e mi sono stupita di quanto l’uomo può essere grande e quanto nella vita di tutti i giorni la sua capacità incredibile di pensare e di generare bellezza venga schiacciata dagli affanni della quotidianità. Ho visto 1800 anime venir fuori e dare tutto per le proprie idee e mi è sembrato di conoscerle già da una vita; come quando alle elementari un tuo amico ti confessa un segreto e tu lo senti vicino e ti senti speciale perché è qualcosa che è stato riservato a te, soltanto a te.
Grazie ai Colloqui fiorentini ho scoperto un modo di fare letteratura diverso, più bello. Ho visto come la prima operazione da fare quando si conosce un poeta, quando si conosce un uomo, è provare a pensare come lui, a immedesimarsi. Mi sono trovata a cercare di ascoltare la natura, a provare a far mio ogni suono che percepivo, a indagare l’insoddisfazione che la sera rientrata a casa mi coglie per poter dire: “Gabriele, io ho la risposta”. Ho sentito di volerlo aiutare a trovare la beatitudine, ho voluto tante volte consolarlo, dirgli che non è vero che non ha una consistenza, che non ha bisogno di identificarsi con la realtà che vede perché lui è un uomo e, in quanto tale, è. Ho desiderato mille volte chiedergli come abbia fatto a scrivere in una maniera così tanto spettacolare da sedurre, da affascinare anche il meno sensibile. Ho desiderato che mi aiutasse a sviluppare la mia sensibilità musicale e non avrei mai creduto possibile vedermi scrivere un articolo sentendo musica classica, come se cercassi nel suono la mia “volontà di dire”.
I Colloqui fiorentini mi hanno acceso una passione per la vita che non so nemmeno spiegare, non si può descrivere a parole. Quello che so per certo è che adesso che ho conosciuto questa pezzo di vita non me ne separerò mai più e vivrò i miei giorni da cuore grande, facendo delle mie domande una ricerca che valga una vita.
Arrivederci Colloqui fiorentini, ci vediamo l’anno prossimo.
(Vanessa Nocella, Liceo scientifico statale Salvemini, Bari)
Seguono altre testimonianze sui Colloqui fiorentini
Quando mi è stato proposto di partecipare all’esperienza dei Colloqui fiorentini, non sapevo a cosa stessi andando incontro, non avevo la più pallida idea di cosa d’Annunzio avesse pensato, vissuto e scritto. Nonostante ciò giorno dopo giorno ero sempre più incuriosita dall’alone di mistero che avvolgeva questo famigerato autore. Così, mentre leggevo Il piacere, cresceva sempre più in me la paura e la necessità di scoprire aspetti di Andrea Sperelli che in qualche modo mi rappresentano e di conoscere un uomo come me, piuttosto che tante parole buttate lì su delle pagine bianche da uno sconosciuto che non rappresenta alcun aspetto di me, come succede giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, a scuola.
Alla fine del suo discorso il professor Gibellini ci ha lasciati con un grande interrogativo: “se amiamo qualcuno, lo amiamo per come realmente è o per come ce lo immaginiamo?”. Per quanto mi riguarda ho inteso l’amore come amore verso una madre, un padre, un amico e non solo verso un fidanzato. Spesso mi è capitato di idealizzare qualcuno e di deluderlo, poiché “innamorata” dell’immagine che la mia mente aveva creato di questo, piuttosto che di quello che realmente era. Questo grande interrogativo ha così confermato il conflitto nato in me riguardante la paura di essere come Sperelli e in fondo la consapevolezza di rivedermi in lui. Inoltre durante i seminari pomeridiani mi sono quasi “spaventata” nel vedere il dialogo che si è venuto a creare tra circa centocinquanta persone, delle quali la maggior parte non si era mai vista prima. Mi ha sorpresa la facilità con la quale si riusciva a parlare, ad ascoltarsi l’un l’altro.
(Annalisa Pignataro, Liceo scientifico statale Salvemini, Bari)
È possibile parlare con passione di persone il cui ricordo è conservato solo nei libri di storia? Possiamo considerarli come fratelli maggiori, che provano a mostrarci il loro cammino, così da non commettere gli stessi errori? Ebbene sì. Esistono queste persone, e la prima opportunità per confrontarci e farci suggestionare dalle loro struggenti parole l’abbiamo vissuta personalmente ai Colloqui fiorentini. Nella capitale della letteratura italiana, i miei compagni e io ci siamo ritrovati con altri mille e ottocento coetanei e con vari esperti provenienti da tutta l’Italia. Confrontando le nostre idee abbiamo aperto gli occhi su aspetti mai affrontati, mai trattati, come il dilemma di Gabriele d’Annunzio, autore oggetto dei Colloqui.
Quest’ultimo è simile ai suoi protagonisti. Essi sono superuomini, ma tutti risultano perdenti nello scontro con il loro destino. Vivono una vita tra feste, ville, ricchezze, ma manca loro qualcosa, una cosa che va oltre i valori terreni, che va oltre ciò che è temporale… qualcosa che il poeta Davide Rondoni definisce con il termine “infinito”. Termine dal significato incerto, che secondo questi è l’unica fonte di felicità eterna e reale. Tutte le altre sensazioni possono condurre al solo piacere temporale e carnale.
Ma realmente che cosa hanno cambiato in noi questi Colloqui? Il poeta Davide Rondoni mostra che la nostra generazione è simile ai personaggi di questo grande autore, cioè tutti gli uomini cercano di raggiungere il proprio infinito. Ma quello che mi chiedo è: come si può raggiungere questo infinito, visto che non si può limitare ai surrogati materiali? Inoltre, vorrei sapere se dopo averlo raggiunto, tutti ci sentiremo pieni, compiuti e felici. Comunque, credo che spetti a noi tagliare questo traguardo. Ciò che mi ha cambiato è stato vedere le opere di artisti che grazie a esse riescono a vincere la morte, facendosi ricordare per tutti i secoli a venire. Tornando a casa mi sono chiesto quale sarà il mio scopo nella vita, cosa sia veramente importante. Ho capito! È importante non rimanere nell’ombra dello sconosciuto e passare nella luce del ricordo. Ecco il mio proposito per il futuro. Diventare qualcuno per vincere la morte, iniziando a cercare l’infinito mai raggiunto da Gabriele d’Annunzio.
(Davide Straziota, Liceo scientifico statale Salvemini, Bari)
Qualunque autore fa riflettere, persino uno come D’Annunzio. Pensavo anche io che fosse un uomo che si tuffa nella vita senza uno scopo preciso. In questi giorni, invece, ho imparato da questo artista che si può raccontare un filo d’erba con mille parole; e ho capito di non voler assolutamente finire come lui, non voglio arrivare a disprezzare la realtà tanto da dovermene inventare una in cui rifugiarmi. “Tutta la vita è senza mutamento”: questa è la frase con cui d’Annunzio inizia e finisce la sua vita. Questo verso nasconde in sé un’infinita tristezza, l’incipit di una ricerca che non è mai finita. Ogni volta che mi risuona nella mente trattengo le lacrime, perché mi infonde sia malinconia che paura. L’aspettativa con cui si arriva ai Colloqui fiorentini è tutta soddisfatta. Cercando di captare e capire ogni parola dei relatori e di trovare il modo migliore di esprimere il proprio pensiero per poter controbattere e confrontarsi con gli altri, mi si è aperta la mente a una nuova sensibilità e questo mi ha dato l’input per trovare il quid per poter affrontare con più tenacia di prima la vita.
(Angela Monterisi, Liceo scientifico statale Salvemini, Bari)
Descrivere l’esperienza dei Colloqui fiorentini in due parole sarebbe troppo difficile e complicato. Quando quattro mesi fa è iniziata quest’avventura non sapevo di certo a cosa andassi incontro, ma l’entusiasmo e una luce mai vista prima brillare negli occhi del professore mi spingevano ad andare avanti per scoprire cosa si nascondesse al di la di tutto ciò. I giorni passavano e pian piano i tasselli del mosaico iniziavano a prendere forma, i pezzetti del puzzle iniziavano a incastrarsi tra loro per dar vita a questa bellissima esperienza di vita. Vita, sì, i Colloqui fiorentini sono un’esperienza di vita perché ti insegnano, senza alcuna istruzione o costrizione, a incontrare uomini, a colloquiare con loro, a non guardare in superficie ma a osservare più in fondo, a leggere tra le righe per conoscere le mille sfaccettature di un uomo: quell’uomo che si nasconde dietro quel libro, quella poesia o semplicemente dietro quella parola che, al primo impatto, può sembrare così banale ma che, al contrario, dietro di sé ha un mondo. Ma soprattutto per conoscere se stessi, per comprendersi e non capirsi, per andare oltre e riuscire finalmente a scorgere l’orizzonte dell’infinito. “Nella vita le cose capitano, ma poi accadono”: sì, è proprio vero, e i Colloqui fiorentini ne sono la prova. Grazie.
(Roberta Dentico, Liceo scientifico statale Salvemini, Bari)