La Nota sulle adozioni dei libri di testo appena diffusa dal Miur sancisce ciò che, prima delle modifiche normative dello scorso autunno, nemmeno i più ottimisti avrebbero sperato. Crolla di fatto il meccanismo delle adozioni obbligatorie, che inviluppatosi nel progressivo deviare dai suoi principi originari era tra i pilastri di una scuola sclerotica e passatista, quasi quanto lo sono il valore legale del titolo e la logica dell’esame di stato. E chissà che anch’essi non inizino a traballare.
I consigli di classe ed i collegi dei docenti non possono più trincerarsi dietro presunti obblighi, per imporre l’acquisto di materiali inadeguati e che magari “tanto nessuno usa”, con l’ulteriore vincolo falsamente garantista del blocco pluriennale. Devono assumersi la responsabilità, di fronte a studenti e famiglie, di rivedere criticamente, ogni anno, le proprie scelte circa strumenti che sarebbero essenziali per la qualità didattica almeno quanto sono onerosi per i bilanci domestici. In primis, la responsabilità di produrre in prima persona eventuali sussidi alternativi. Che certe critiche al sistema non siano solo calunnie emerge nel passaggio in cui la nota addirittura richiama i presidi a vigilare su possibili adozioni interessate.
Ovvie le critiche da parte del mondo editoriale: la più usuale, che i materiali “autarchici” resterebbero frammentari ed incontrollati: ne sono convinto anch’io, e in altre sedi ho rimarcato la differenza tra “dispensa” e “testo”. Ma ci sono almeno due obiezioni.
La prima: siamo sicuri che sia davvero un male, specie se toglie a molti docenti un alibi rispetto al doversi aggiornare e mettere in discussione? La seconda, più forte, è che resta ben poco del preteso ruolo di “validazione scientifica e culturale”, che illo tempore distingueva le case editrici più rinomate. Il progressivo scadimento dei libri di chimica mi ha fornito addirittura un metodo didattico, quello di leggere insieme ai ragazzi le pagine del testo, per poi insegnar loro a verificarne discrepanze ed errori ricercando criticamente le fonti originali. Fuori dalla chimica dovrei tacere, ma non posso dimenticare un recente libro di inglese che, commentando la saga di Harry Potter, infila tanti strafalcioni che mia figlia lo avrebbe incenerito in quinta elementare. Non so con che attenzione l’abbia letta l’editor-validatore a caccia di novità.
Resta ancora della strada da fare, sicuramente.
Ad esempio, pare migliorabile l’idea che i materiali autoprodotti dalle scuole siano acquisiti da parte del ministero che li rimetterà a disposizione di tutte le scuole. Da un lato, sembra riaffiorare l’istinto al centralismo, per cui – caschi il mondo – tutte le strade devono incrociare viale Trastevere.
Indicativo il richiamo a scadenze temporali entro cui avere un qualche tipo di “prodotto finito” (o chiudere un canone?), forse contraddicendo l’esigenza di flessibilità alla base della norma. Dall’altro, ciò che passa dal ministero acquisisce, de iure o de facto, quel “bollino blu” che stride con la più importante esigenza, la libertà di non vedersi imporre testi omologati con cui non si è d’accordo. Ma sono forse sottigliezze di uno scettico ad oltranza: stavolta la botta è così rivoluzionaria che tutto l’apparato della conservazione difficilmente riuscirà a imbalsamarla e neutralizzarla. Come si scriveva su queste colonne, potrebbe essere anche l’occasione per l’auspicato rilancio di un’editoria di qualità: voltiamo pagina insieme.