Insegnare storia è da sempre fare i conti con una delle pagine più drammatiche del percorso umano e di quello dei popoli, un percorso che ha un punto di grave rottura in Armenia dove il 24 aprile 1915 prende il via a Costantinopoli la fase finale del primo genocidio del Novecento, lo sterminio degli armeni da parte del governo turco diretto dal nazionalismo panturco dei Giovani Turchi.
È assurdo che non si faccia i conti con questa pagina della storia. Ogni volta che la ripercorro è commovente quanto venga di insegnamento umano da ciò che è stato programmato e gestito con una violenza che non ha paragoni se non con quella ideologica dei totalitarismi. Raccontare del genocidio degli armeni mi ha fatto sempre crescere in consapevolezza; entrare negli abissi neri del panturchismo e trovare nell’orrore la luce di un’umanità che continua a risplendere è stato diventare ogni volta più sensibile a ciò che l’uomo e i popoli cercano, impegnandosi con il loro destino.
Così anche quest’anno ho inserito nel programma di quinta il genocidio del popolo armeno e a cavallo della prima guerra mondiale mi sono messo a raccontarlo. La classe si è incuriosita, le domande erano molte, allora ho chiesto agli studenti se volessero incontrare Anna Maria Samuelli di Gariwo, un’insegnante che già gli anni scorsi è venuta nella nostra scuola e ha proposto alle quinte un percorso sulla storia degli armeni. E così è stato anche quest’anno. Gli studenti e le studentesse sono coinvolti dal suo racconto, con alcune scatta un imprevedivile feeling. Mi colpisce la sensibilità all’umano che la vicenda armena anche quest’anno desta, tanto che mi conferma nell’idea che la storia, più che magistra vitae, sia una possibilità di accorgersi della forza interiore che fa vivere tutto, anche le situazioni più avverse e tragiche.
Questo incontro avviene a novembre, la classe è colpita, io stesso e Anna Maria Samuelli lo siamo, tanto che, non so fino a che punto credendoci, ci ripromettiamo di rivederci prima che finisca l’anno. Anna Maria Samuelli dentro l’emozione di quei momenti ci dice persino che sarebbe potuta tornare insieme al marito Pietro Kuciukian, console armeno a Milano. Il console armeno in classe? Mi sembrava utopia. Invece quello che non pensavo è accaduto, mi arrivano in classe Anna Maria Samuelli e Pietro Kuciukian. Siamo quasi senza parole, commossi dal fatto che due personalità si muovano per l’interesse e la curiosità che avevano incontrato in una classe di studenti. E questo basterebbe, un insegnamento di vita spesso vale più di tante lezioni. Ma l’ora di lezione con Pietro Kuciukian diventa travolgente, piena di tensione, apre domande su domande.
Riusciamo a cogliere il perché: non sono in gioco categorie interpretative della storia, cosa sia giusto, cosa sia sbagliato; la difesa dell’armenità e l’attenzione ai giusti vengono dallo stesso metodo, da un impegno totale con la vita. Questo è il fascino che comunica questa lezione straordinaria sul dramma degli armeni e sulla esemplarità dei giusti, incontrare un uomo e una donna che vibrano di un amore inarrestabile per la verità e rimanerne contagiati.
Pietro Kuciukian racconta cosa significhi essere armeno, racconta fatti accaduti che sono stati negati o nascosti, parla del suo popolo con un grande amore ed una conoscenza precisa in ogni dettaglio. La sua è una testimonianza appassionata, coinvolgente, gli studenti reagiscono incuriositi con domande per entrare sempre più nei particolari, e uno di loro va al nocciolo della questione, gli chiede se lui sia certo che la verità verrà un giorno riconosciuta, se quello che il popolo armeno ha ingiustamente subito verrà raccontato anche in Turchia dove ancor oggi viene negato. La risposta è ferma e commovente: “Certo che la verità verrà riconosciuta” risponde Pietro Kuciukian, “e per il semplice fatto che noi la portiamo, che noi armeni ci siamo”.
È la coscienza di un compito che viene dalla vita, che ti è dato da quello che sei, dal popolo cui appartieni: questo è ciò che Pietro Kuciukian ci comunica. È venuto da Milano per ventisei studenti e un professore solo per questo, perchè ama la verità, e questo ci basta non solo per credergli ma per capire che abbiamo oggi lo stesso compito che lui ha in quanto armeno, quello di servire dovunque la verità. Questo, incontrando due testimoni del mondo armeno, ho imparato, che amare la verità è il compito che ti dà la vita e che se lo assumi ne diventi protagonista. Non è forse questo a documentare quanto la storia c’entri con la vita?