L’entrata in vigore del decreto 112/2008 che riduceva di quattro ore alla settimana il quadro orario degli istituti tecnici e professionali, a partire dall’anno scolastico 2010-2011, ha causato negli ultimi cinque anni non poche proteste da parte degli insegnanti che hanno visto ridurre il monte ore settimanale della loro materia anche nelle classi che seguivano i vecchi indirizzi a esaurimento.
Al di là di ogni valutazione sull’impianto del riordino, pareva che almeno un punto fosse fermo e cioè che l’orario (cfr. Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) non potesse superare le trentadue ore settimanali “compresi la quota regionale e l’insegnamento della Religione cattolica”.
Con qualche sorpresa, invece, a nemmeno cinque anni dall’entrata in vigore del provvedimento precedente prendiamo atto che il governo, “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza, per l’avvio dell’anno scolastico, di emanare disposizioni a favore degli studenti, delle famiglie e delle istituzioni scolastiche, dirette a rendere effettivo il diritto allo studio, ad assicurare la tutela della salute nelle scuole, a ridurre le spese per l’istruzione, ad arricchire l’offerta formativa, a valorizzare il merito, a migliorare il funzionamento delle istituzioni dell’alta formazione artistica (…), con il decreto legge del settembre scorso “L’istruzione riparte”, poi legge 128/2013 (che spazia dal divieto di fumo nei cortili al reclutamento dei dirigenti scolastici, dalle borse di studio per le scuole coreutiche al wifi per le scuole) ha ritenuto di rispondere alle urgenze di cui sopra inserendo la 33esima ora nelle scuole.
Si saranno accorti che forse hanno tagliato troppi laboratori, che sarebbero necessarie più ore delle materie di indirizzo, che si devono potenziare le tre i, che si deve dare più spazio alle esigenze del territorio? Niente di tutto questo! La geografia generale ed economica, da sempre insegnata solo negli istituti tecnici e professionali per il commercio e il turismo entra obbligatoriamente nel piano di studi di elettronici, meccanici, grafici, biotecnologi, aeronautici, ottici, elettronici e ristoratori, aggiungendo un’ora al piano orario in prima o in seconda.
Dopo le comprensibili espressioni di soddisfazione dell’associazione già si levano le proteste dei docenti della classe A039 che vorrebbero avere l’esclusiva dell’insegnamento (che si può assegnare anche alle classi di concorso A060 e A050) senza considerare che una materia di una sola ora settimanale, in una sola classe, per un solo anno, per di più insegnata da docenti di una disciplina mai stata presente nell’istituto non ha molte possibilità di incidere sulla formazione complessiva; nella migliore delle ipotesi ogni insegnante avrebbe almeno tre scuole e farebbe molta fatica a inserirsi in tutti gli istituti, a creare sinergie a lavorare in gruppo.
Ma al di là di questo: chi ha deciso questo forzoso “ampliamento dell’offerta formativa”? Se non sbaglio dovrebbero essere le scuole a decidere questo e dovrebbero farlo senza superare le 32 ore. Quale urgente e ineludibile esigenza didattica ha portato a porre migliaia di ore (per 3,3 milioni di euro nell’anno 2014 e di 9,9 milioni a decorrere dall’anno 2015) a carico del bilancio dell’istruzione, mentre le scuole non riescono a far fronte alle esigenze più pressanti? Qualcuno ha pensato al potenziale effetto domino? Superato il tabù delle 32 ore, si tratta solo di fare pressione in modo più efficace per vedersi accontentare. Inizieranno le richieste, tutte uguali: più ore. E come si potrà rispondere di no? Faranno intervenire i saggi, la cabina di regia, gli intellettuali per dimostrare quanto sia buono e giusto aggiungere un’ora di geografia e invece riprovevole assegnarne una in più di fisica, o chimica o disegno tecnico?
Forse sarebbe meglio congelare la situazione almeno per un anno e, se possibile, non iniziare con una serie di riforme Arlecchino a modificare un impianto che non è ancora arrivato in quinta; e magari pensare agli studenti di quarta che non sanno ancora come sarà l’esame di stato del prossimo anno.