In questi mesi riempie le cronache il problema della dipendenza. Sono i giovani a manifestarlo e in forme diverse che vanno dalla droga all’alcool, da internet al gioco d’azzardo. Colpisce che questo avvenga in un momento di crisi. Proprio mentre si raccolgono le energie per affrontare i difficili momenti di cui soffre il paese, il mondo giovanile sembra cedere, rassegnato al peggio fa come scelta quella di stordirsi per non stare davanti ad un futuro le cui prospettive si stanno sempre più restringendo.
Ma il fenomeno in ascesa della droga a km zero, il fatto che numerosi giovani vadano a sprecare tempo e denaro nelle sale da gioco, l’aumento del numero di giovani che con grande facilità finiscono le serate del sabato storditi dall’alcol, non è questo il cuore della questione di fronte a cui tutti stiamo, ma solo la manifestazione di un disagio profondo che non può essere affrontato con maggiori controlli e una più puntuale prevenzione. Certo agire si deve e in modo chirurgico, ma non sarà questo a ridurre la dipendenza, non sarà la riedizione italiana di leggi di stampo proibizionista. Ci vuole il coraggio di guardare in faccia il problema, di domandarsi che cosa spinga tanti giovani a rifugiarsi in una delle tante dipendenze che il potere regala a man bassa, senza soluzione di continuità.
Prima ancora che un ragazzo finisca a drogarsi o torni a casa ubriaco dopo una festa tra amici, la dipendenza nasce da un’insoddisfazione che si insinua in modo furtivo e sottile dentro la vita quotidiana, ha all’origine un nome diverso, quello di fronte a cui ci ha messo Papa Francesco con il suo messaggio quaresimale. Il primo nome della dipendenza è l’indifferenza. Papa Francesco nel suo messaggio lo ha ben definito: “succede — ha scritto — che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare”.
E’ l’indifferenza, ormai globale, l’alveo in cui si annida e cresce la dipendenza, perché è dal fatto che nulla più interessi il vivere che un giovane comincia a prendere la strada del consegnare la propria identità svuotata a chi la annullerà definitivamente.
Per questo se è giusto preoccuparsi delle varie forme di dipendenza che si stanno diffondendo come è giusto moltiplicare controlli e prevenzione, non è questo il vero modo per combattere efficacemente la battaglia contro le dipendenze. Bisogna invece partire da un altro e decisivo punto, bisogna partire proprio dall’indifferenza. E l’indifferenza non la si ferma con le regole, ma solo riportando ogni ragazza e ragazzo ad avere affezione a sé. E’ l’educazione la strada per affrontare l’indifferenza. Tra il porsi e il non porsi la domanda sulla vita vi è la differenza che si trova tra l’avere a cuore la propria umanità o il vendersi ad un meccanismo dove è tutto ugualmente noioso.
Urge ripartire dall’educazione perché il cuore ha bisogno di una risposta all’altezza del suo desiderio per una ragione molto semplice, che desidera vivere, e vivere pienamente.
La nostra è sempre più una scuola e una società in cui si è barattato il desiderio di felicità con un po’ di equilibrio, solo che questa riduzione porta unicamente ad aver paura, per cui si moltiplicano regole e controlli per vincere la paura. Impresa impossibile, siamo sempre più risucchiati dalla paura, l’equilibrio lo si mantiene a fatica e quando vi si riesce non soddisfa. Se andiamo avanti così non ci sarà sbocco e aumenteranno sempre più le dipendenze. Urge un cambiamento radicale, urge ritornare alle origini dell’umano, avere il coraggio di puntare nuovamente sulla felicità, questa è la strada da prendere per vincere le dipendenze, cercare la risposta alla domanda di felicità che vibra nel cuore. Non ridurla a ricerca dell’equilibrio, ma tenere alta la sua tensione e non fermarsi a nessun surrogato di risposta.
E’ una sfida alta quella di fronte a cui stanno i giovani oggi, è la sfida della felicità, ancor più alta e struggente perché tanti adulti innanzitutto non la credono possibile; e infatti sono loro ad aver insegnato ai giovani ad accontentarsi dell’equilibrio, sono loro ad averli così indirizzati nei vicoli chiusi dell’indifferenza e delle dipendenze.
La sfida della felicità si può riproporre invece e ad alto livello, perché il cuore è la felicità che cerca, e continua a vibrare solo per essa.