All’inizio di gennaio il presidente del Consiglio Renzi ha comunicato la decisione di rinviare di due mesi l’emanazione dei decreti sulla “Buona Scuola”. Da quel momento i lavori di preparazione dei documenti sono stati rigorosamente “blindati”. Dal sottosegretario Davide Faraone tuttavia sono cominciate a filtrare alcune ipotesi e qualche particolare. Abbiamo chiesto al presidente di Diesse, Tino Giardina, di commentare le anticipazioni.
Presidente, quali saranno secondo lei le conseguenze del ritardo nell’elaborazione dei provvedimenti?
Qualche serio problema pratico, soprattutto per quanto riguarda la maxi-operazione relativa alle 148mila assunzioni in ruolo e le sue conseguenze. Abbiamo già espresso la nostra perplessità sugli esiti negativi a lungo termine sulla figura del docente in conseguenza dell’immissione in ruolo di una quantità di insegnanti che va ben oltre il fabbisogno reale del sistema.
Qual è il rischio maggiore?
Nel breve periodo il rischio concreto che vedo riguarda l’avvio del prossimo anno scolastico: portare in Parlamento a fine febbraio provvedimenti complessi come questo, che prima di poter produrre effetti definitivi richiedono un lungo iter legislativo e a cascata diversi provvedimenti secondari, pone una seria ipoteca sul regolare avvio dell’anno scolastico. Tanto più che delle azioni propedeutiche, come il censimento sulle Gae che avrebbe dovuto essere concluso entro dicembre, non c’è ancora alcuna traccia.
E le nuove discipline di insegnamento che la “Buona Scuola” promette di introdurre?
Un’altra partita rischiosa. A parte la forzatura rispetto all’autonomia delle scuole, che vedono così irrigidirsi e ingolfarsi ulteriormente i piani di studio ordinamentali, c’è comunque il rischio di arrivare a settembre con disposizioni affrettate e linee guida non ben definite.
Perché parla di forzatura dell’autonomia? Dalle ultime anticipazioni emerge la volontà di rendere più flessibili i curricoli degli studenti.
Si tratta di due cose distinte, anche temporalmente. Una delle ipotesi più sostenute nella “Buona Scuola” è quella di introdurre nei curricoli, dalla primaria al primo biennio delle superiori, più ore di alcune materie (musica, educazione motoria, storia dell’arte e disegno, informatica). Questa è una scelta centralistica che, per quanto si legge nel documento di settembre, non lascia margini di intervento alle scuole; e — ad essere un po’ smaliziati — fa pensare ad un modo per riassorbire parte dell’esubero di docenti che si avrà dalle nuove immissioni in ruolo. Altra cosa è il “curriculum dello studente”, che dovrebbe coinvolgere gli ultimi tre anni del secondo ciclo di istruzione.
Stando a quanto si apprende dai giornali, si tratterebbe di una flessibilizzazione dei piani di studio del secondo biennio e, soprattutto, del quinto anno.
Sì, una sorta di percorso personalizzato costituito da un curricolo base uguale per tutti e un gruppo di materie opzionali a scelta dello studente, cui si affiancano anche materie facoltative. La finalità sarebbe quella di adattare i percorsi formativi alle attitudini/esigenze degli studenti, anche in vista della scelta universitaria e lavorativa. Sappiamo tutti che non si tratta di una novità: era già contenuta nella riforma Moratti, anche se riguardava tutto il percorso quinquennale; la successiva riforma di tecnici e professionali ha cancellato la legge Moratti (peraltro sul punto fortemente osteggiata dalle scuole) e con essa anche l’idea di un percorso di studi flessibile.
Ma lei cosa pensa in proposito?
Sì, una sorta di percorso personalizzato costituito da un curricolo base uguale per tutti e un gruppo di materie opzionali a scelta dello studente, cui si affiancano anche materie facoltative. La finalità sarebbe quella di adattare i percorsi formativi alle attitudini/esigenze degli studenti, anche in vista della scelta universitaria e lavorativa. Sappiamo tutti che non si tratta di una novità: era già contenuta nella riforma Moratti, anche se riguardava tutto il percorso quinquennale; la successiva riforma di tecnici e professionali ha cancellato la legge Moratti (peraltro sul punto fortemente osteggiata dalle scuole) e con essa anche l’idea di un percorso di studi flessibile.
Ma lei cosa pensa in proposito?
Siamo convinti, come lo eravamo dieci anni fa, che la personalizzazione dei percorsi costituisca una grado di libertà in più che non può fare altro che bene alla formazione degli studenti. Tutto dipende però da come sarà impostato il sistema delle opzioni: saranno le scuole a decidere le materie o sarà ancora il ministero centrale a stabilire per tutti il “paniere”? E ancora, quali supporti avranno gli studenti per orientarsi? Ci auguriamo poi che l’aver limitato la flessibilità al triennio finale non diventi presupposto per il varo di un biennio iniziale unico, che sarebbe peraltro incongruente e in contrasto con la successiva liberalizzazione dei curricoli.
In una recente intervista il sottosegretario Faraone, dopo aver dichiarato che «la carriera è un diritto degli insegnanti», ha lanciato l’introduzione di due nuove figure di docenti: il “mentor”, centrato sulla didattica, e il “quadro intermedio”, destinato a fornire supporto organizzativo alla scuola. Le due figure, che diventeranno stabili una volta conseguita la qualifica, dovrebbero coinvolgere non più del 30% dei docenti in ciascuna scuola, saranno retribuite in modo specifico e costituiranno prerequisito per accedere alla dirigenza scolastica e alla carriera ispettiva. A lei cosa sembra di questa ipotesi?
Dico che siamo di fronte a figure professionali in sostanza già presenti nella scuola, frutto, soprattutto la prima, della capacità tutta italiana di trovare soluzione ai vari problemi che le istituzioni con la loro normativa ordinaria producono ma non risolvono. Il fatto che vengano istituzionalizzate, riconosciute dal punto di vista della carriera e remunerate economicamente meglio di oggi non può che trovare il nostro consenso; in particolare la prima, legata alla didattica e al tutoraggio, alla quale finora sono arrivate solo le briciole della contrattazione d’istituto…
Ma…?
Non è chiara, però, la connessione di questa forma di carriera con la progressione “per merito” proposta dalla “Buona Scuola”; in altri termini, se si affiancherà ad essa, con una vita propria, o se diventerà parte integrante della già tanto discussa e rifiutata valutazione ai fini degli scatti stipendiali. A nostro parere sarebbe più logica la prima ipotesi. Aggiungo che non ci piace la rigidità della figura che emerge dal fatto che la posizione, in quantitativo giustamente contingentato, sia data per acquisita una volta per sempre, a scapito di quanti — magari più giovani — potrebbero aspirare ad acquisirla.
E sull’accesso alla dirigenza?
Sul fatto che quelle figure diventino “precondizione giuridica” per accedere alla dirigenza, tagliando fuori la possibilità al resto dei docenti, abbiamo delle riserve. I prerequisiti per diventare buoni dirigenti non vengono solo da una rigida carriera precostituita; e andrebbero comunque verificati da una preselezione pubblica al momento del concorso. Non conosciamo ancora le modalità di accesso alle due figure, ma dubitiamo che se ne possa disporre nella nuova veste giuridica già da settembre 2015.
A proposito di valutazione, avrà letto che c’è l’intenzione abbastanza decisa di coinvolgere gli studenti anche attraverso l’introduzione di un loro rappresentante (alle superiori) nel nucleo di valutazione. Cosa ne pensa?
Ho visto che avete rivolto la stessa domanda al presidente della Disal, Delfino; concordo in pieno con le sue valutazioni e le sue proposte. Aggiungo soltanto che un coinvolgimento istituzionale nella valutazione della carriera degli insegnanti non corrisponde affatto col mettere gli studenti al centro dell’azione educativa. Sotto questo profilo ben vengano scelte come quella della flessibilizzazione dei percorsi o di una legge quadro per il diritto allo studio, o ancora disposizioni specifiche per la tutela degli studenti in stage o alternanza scuola-lavoro, peraltro anche queste annunciate da Faraone. La valutazione di una qualsiasi attività professionale va sicuramente legata alla soddisfazione di chi da quella professione riceve un servizio, ma non può essere determinata da essa. Nel caso della scuola una scelta del genere non è sicuramente un atto educativo responsabile, mentre assomiglia molto di più ad una “concessione” di sapore puramente demagogico.
Un’ultima domanda. Nelle anticipazioni si parla anche dell’istituzione di una classe di concorso di italiano come Lingua 2 per l’insegnamento agli stranieri, di un incremento fino a 600 ore dell’alternanza scuola-lavoro estesa a tutto il triennio delle superiori.Come valuta queste proposte?
Molto in sintesi, dico che finalmente vengono dati alle scuole strumenti concreti per affrontare seriamente l’integrazione degli studenti di nazionalità non italiana. È ora di finirla con l’idea assurda che basti metterli in classe con alunni italiani per realizzare l’integrazione; il primo vero passo avviene attraverso la comprensione linguistica. L’alternanza scuola-lavoro e i tirocini in azienda si stanno rivelando sempre più carte vincenti per una formazione e un orientamento adeguati al nostro tempo. L’incremento delle ore in alternanza, l’estensione anche al terzo anno e, soprattutto, a tutti i percorsi formativi secondari — licei compresi — costituiscono nell’insieme un fatto indiscutibilmente positivo. Non bastano però le promesse, occorre anche supportare economicamente le operazioni (quest’anno per l’alternanza sono stati erogati solo 11 milioni di euro…) e favorirne lo svolgimento dal punto di vista normativo, coinvolgendo anche tutte le leggi sul lavoro.
Si parla anche di uno “school bonus” per agevolare i finanziamenti alle scuole da parte di privati.
Anche lo “school bonus” può essere una buona idea, purché non resti — come è attualmente nella “Buona Scuola” — una possibilità riservata esclusivamente alle scuole statali.