Continua ad essere ostacolo insormontabile per i docenti vedere il proprio rendimento valutato ai fini di un'incentivazione o dell'assunzione in una determinata scuola. ANNAMARIA INDINIMEO

Sarebbe stato interessante, per una volta, assistere a un dibattito vero su come trasformare la scuola a partire da un’idea di istruzione pubblica coerente con le esigenze del Paese e in grado di fornire  un decoroso livello di preparazione a tutti gli studenti garantendo, tra gli altri diritti, quello di essere guidati nell’apprendimento da persone competenti e appassionate. 



Forse qualcuno si sarebbe schierato a favore, interrompendo una solida tradizione italiana che vede l’immediata levata di scudi di fronte a qualunque proposta di riforma; invece il primo risultato raggiunto dalla legge sulla Buona Scuola è stato quello di compattare l’intera classe docente contro il provvedimento, facendo leva soprattutto sulla valutazione e i presunti superpoteri dei presidi. L’idea che qualcuno nella scuola possa esser pagato per organizzare e valutare il lavoro di altri appare un vero sacrilegio contro la libertà didattica, che viene evocata spesso e volentieri anche di fronte a innocenti richieste come quella di motivare la valutazione delle prestazioni degli studenti.



“Non è un obbligo di legge” mi disse una volta un sindacalista difendendo un docente che non intendeva in alcun modo dare conto agli allievi delle sue scelte, della modalità di verifica e, soprattutto, dei criteri di valutazione e dei relativi tempi di comunicazione. Spesso durante gli esami di Stato ci sono commissari che accusano disagio e disappunto se si pretende di far utilizzare le griglie di valutazione in modo rigoroso, parlano di “freddezza”, “rigidità” e “meccanicismo” ed emerge la richiesta di lasciare più spazio all’intuito e all’esperienza che, in definitiva, sono in grado di far quadrare meglio i conti. 



Visti i complessi processi mentali che portano alla valutazione delle performance degli allievi e la difficoltà che ancora alcuni incontrano nel separare la persona dalla prestazione, non si può nemmeno pensare che l’idea di valutare i docenti possa essere accolta positivamente. 

“Cominciamo dai presidi” obbiettano; su questo possiamo essere tutti d’accordo, e anche la nuova legge lo prevede nel dettaglio.

Continua ad essere ostacolo insormontabile per i docenti, invece, vedere il proprio rendimento valutato ai fini di un’incentivazione o dell’assunzione in una determinata scuola. 

Non credo, però, che le masse di docenti in piazza siano spinte solo dalla tradizionale resistenza e resilienza al cambiamento; il problema veramente grave che emerge è l’assoluta mancanza di fiducia nei confronti di tutta l’amministrazione. Chiunque sia dotato di un po’ di buonsenso non può non capire che in qualunque lavoro è necessario che ci sia chi decide e che paga se sbaglia ma temo che, fondamentalmente, la classe insegnante abbia paura che dietro alla libertà di scelta che ti permette di assumere Einstein al posto di una schiappa (anche se il secondo ha 0,25 punti in più) si possano nascondere chissà quali sporchi traffici. 

Si temono gli abusi e le ingiustizie quindi, da parte di molti,  si chiedeva con forza che il preside, se proprio deve giudicare i docenti, sia almeno elettivo, in modo che il controllore possa essere un po’ controllato dalla base.

Le battute che circolano (e non solo le battute, visto che alcune affermazioni sono state fatte durante collegi o assemblee) prospettano scenari inquietanti, con presidi che pretendono mazzette dagli aspiranti docenti, per non parlare delle richieste di altri favori degne dei migliori film della commedia italiana di serie B. 

Il sistema dei punteggi (un corso un punto anche se è completamente inutile), delle graduatorie e dell’assoluto anonimato dietro al quale si può nascondere un genio o un inetto danno sicurezza; in caso di necessità, poi, si può fare ricorso ed essere sicuri di essere rimessi al proprio posto ad aspettare che arrivi il proprio turno. Evidentemente non ci si fida del giudizio dei dirigenti né di chi li controllerà e non si intravede come un’opportunità la possibilità di essere scelti perché competenti, attivi, innovativi, con capacità comunicative. 

Se solo riuscissimo a gestire in modo “normale” i concorsi con l’assunzione di chi risulta idoneo  non ci sarebbero problemi; anche in passato, invece, a volte sono entrati in ruolo prima i bocciati dei promossi e comunque, una volta entrati nel giro delle graduatorie, difficilmente se ne esce se non volontariamente. Anno dopo anno, in tutte le scuole, ci sono sinceri rincrescimenti per la perdita di validissimi supplenti o — viceversa — ansia e sconforto per l’arrivo o il rientro di qualcuno che non si era dimostrato all’altezza della situazione e non aveva accettato nessun suggerimento per modificare il suo comportamento. 

Sarà necessario che si possa fare riferimento, da subito, a un sistema di controlli veramente efficace, altrimenti nella legge c’è già la risposta: in caso di inerzia del dirigente l’Usr provvederà alle nomine. Speriamo che questa ipotesi non sia la più gettonata e che non sia quella destinata ad incidere sulla valutazione dei dirigenti, visto che nessuno è stato obbligato a fare questo lavoro, altrimenti vedremo sempre più presidi sfiancati da polemiche roventi e collegi interminabili ritirarsi nell’inerzia e lasciare che di nuovo si formino le code di aspiranti davanti agli Uffici scolastici.