E più importante discutere su chi gestisce una scuola oppure delle garanzie di accesso, di qualità, dI benessere che promuove? Se ne parla oggi al Meeting di Rimini. SUSANNA MANTOVANI
La scuola, la scuola migliore possibile, deve esistere ed essere accessibile a tutti i bambini e a tutte le bambine, a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi che vivono, per tempi lunghi o brevi, nel nostro paese.
Per poter rispondere al diritto di tutti — nessuno escluso, nessun bambino o ragazzo disabile, nessuna bambina non italiana, nessuna ragazza che passa solo qualche mese di vita in Italia — a una scuola, buona, di qualità è necessaria la collaborazione e l’integrazione fra i diversi soggetti che possono realizzarla e offrirla.
Il diritto all’accesso e il diritto alla qualità della scuola sono elementi fondamentali per garantire il diritto al benessere di tutti i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze. Oggi, nei documenti internazionali ed europei che noi abbiamo sottoscritto, il benessere viene definito in senso ampio: oltre al diritto al soddisfacimento dei bisogni elementari e al rispetto in ogni sua forma, il benessere è anche la possibilità di realizzare tutte le proprie potenzialità, conoscitive, sociali, espressive, umane.
Non è dunque così importante discutere su chi gestisce una scuola, quanto e prima di tutto su come è questa scuola, che garanzie dà di accesso, di qualità, di rispetto, del benessere che promuove. A seguire, su come investire le risorse pubbliche nel modo più produttivo e razionale, su come valutare e verificare che vengano bene utilizzate e come sostenere verso un costante miglioramento le scuole che ancora non ce la fanno. Uscendo dalla contrapposizione — non dalla dialettica, che è utile a non adagiarsi mai e a cercare le pratiche e gli argomenti migliori — tra scuola statale e scuola paritaria, perché sia le scuole statali sia le scuole paritarie devono garantire tutti i diritti per tutti e solo allora possono dirsi pubbliche.
La consapevolezza che le risorse vanno conquistate e sono un bene prezioso può aiutare a superare steccati e reciproche diffidenze, perché rende evidente la necessità di uno sforzo comune soprattutto da parte di coloro che hanno più risorse economiche e culturali, affinché tutti possano esercitare il loro diritto in una prospettiva di sobrietà e sostenibilità.
Lo Stato ha il compito di delineare l’indirizzo, valutare e sostenere anche gli altri soggetti che contribuiscono ad estendere i diritti e accettano le regole, di promuovere un confrontino dialettico e anche competitivo. Senza steccati, consentendo e valorizzando esperienze innovative, orientate da metodi o fini specifici purché sempre riconducibili a una prospettiva comune di valori essenziali e di diritti di tutti.
Più sfaccettato, più incerto mi pare oggi ancora il discorso sul diritto di scelta delle famiglie: questa deve avvenire in modo trasparente e il diritto va riconosciuto quando non entra in concorrenza con la garanzia ai diritti essenziali e quando non è una scelta d’élite.
Oggi la scelta avviene anche nella scuola statale in modo più o meno sotterraneo: i genitori che hanno più strumenti culturali, i genitori che conoscono la scuola e la città scelgono, di fatto ma non ufficialmente le “sezioni migliori” nelle scuole dei propri figli. Qualche volta scelgono quelle scuole o quelle classi dove non vi sono bambini e ragazzi “stranieri” o difficili o disabili. Scelgono di inviare il proprio figlio in una scuola superiore che seleziona i ragazzi nell’accesso, quando l’uguaglianza di opportunità negli anni che precedono è in gran parte fittizia.
Se questo è il diritto di scelta allora non è giusto, perché i ragazzi e le ragazze devono tutti e sempre poter trovare l’occasione di appassionarsi alla conoscenza; ed è anche uno spreco di potenziali talenti e risorse intellettuali e umane che contribuirebbero al bene di tutti. La scelta/selezione è parte della qualità? Come e quando può essere garantita? Il “merito”, negli anni della scuola di tutti, non va soltanto riconosciuto: al merito, che è anche responsabilità, bisogna innanzitutto educare. Educare tutti.
Il sistema dei servizi e delle scuola per l’infanzia — che il bell’acronimo inglese ormai diffuso, ECEC, chiama Early Childhood Education and Care — sottolineando il binomio inscindibile di educazione/istruzione e di cura, può essere un esempio per tutta la scuola. E’ un sistema di buona qualità ed che è già in gran parte oltre il dibattito pubblico/privato.
Oggi la legge 107 propone — anche se pochi ne parlano — un sistema integrato di scuole e servizi per l’infanzia e può farlo perché le esperienze già esistono e sono solide e creative. Già la legge che istituiva la scuola dell’infanzia statale nel 1968 recitava che lo Stato sarebbe intervenuto dove non esistessero già altre scuole e le scuole che esistevano in molte regioni italiane erano nate nei Comuni e intorno alle Chiese. Nella mia città, Milano, ancora oggi il Comune gestisce l’85% di scuole dell’infanzia che lo Stato considera “paritarie” come quelle della Fism o di altre agenzie del provato sociale. Il sistema dell’accreditamento e del convenzionamento è in atto da anni con reciproci vantaggi anche se ancora con alcune difficoltà: dalle differenze troppo ampie tra gli innumerevoli contratti nel privato sociale, alle differenze sia nelle condizioni di lavoro tra le insegnanti delle scuole statali e comunali, alle differenze per le famiglie e i bambini dei servizi offerti in termini di calendario e orario in un’età nella quale i servizi e la scuola non possono non tenere conto dei tempi di vita e di lavoro dei genitori.
Reggio Emilia è stata un’apripista dell’integrazione così come la Provincia di Trento e altre città: i servizi si integrano già tra progetti, collaborazioni, esperienze di formazione comune. Si sono sviluppati dal basso, sia negli enti locali sia nei migliori consorzi di cooperative, strumenti di valutazione partecipata.
I nidi e le scuole dell’infanzia, ove esistono, hanno un’identità specifica e sono radicati nelle comunità e al tempo stesso esiste una rete e non sono insoliti i gemellaggi tra chi ha un’esperienza forte e chi ancora, in altre parti del Paese, inizia e arranca. E’ diffuso un sapere organizzativo e gestionale che utilizza le risorse, fino a oggi aleatorie, con consapevolezza e rigore. Resta ora da generalizzare l’accesso, soprattutto al Sud, con criteri creativi e sostenibili nell’erogazione e nella gestione delle risorse. I modelli virtuosi ci sono nello Stato, nei comuni, nelle scuole paritarie, nei servizi del privato sociale ed è necessario studiarli e proporli perché possano venire interpretati anche in altre comunità.
Le scuole migliori e i buoni servizi sono nicchie culturali e nicchie di sviluppo, luoghi nei quali i bambini e i genitori si incontrano e possono trovare sia il riconoscimento di ciascuno nella sua assoluta, straordinaria e specifica diversità, sia fini e significati comuni per condividere le responsabilità dell’educare pensando al futuro di tutti noi. In una scuola autonoma, autonomia e responsabilità sono il rischio e la garanzia della qualità.