Come valutare il merito del docente? La legge 107 “Buona Scuola” ha istituto il comitato di valutazione a tale scopo, e le scuole (statali) si stanno adoperando, forse con qualche imbarazzo e tensione, o forse con un certo formalismo, per individuare le figure che andranno a comporlo. A questo comitato sarà affidato il compito di valutare “impegno e meriti professionali” del personale docente; inevitabile sarà la tendenza a quantificare “impegno” in numero di ore dedicate ai vari progetti per adempiere quanto c’è di obbligatorio e di facoltativo nella scuola (alternanza scuola-lavoro, stage linguistici, viaggi di istruzione, uscite didattiche, help, corsi di recupero, recupero in itinere, inclusione, e-learning, ambiente, cittadinanza… elenco variegato e potenzialmente infinito del Ptof, il divenente Piano triennale dell’offerta formativa) e “meriti professionali” in successo formativo degli studenti, e visto il clima generale è ragionevole prospettarsi una misurazione del successo formativo come percentuale degli studenti che conseguono il passaggio alla classe successiva in una determinata classe e materia. Come da (prevedibile?) circolare e tabella ministeriale dedicate.
Che si possa rifiutare che una temuta tabella ministeriale (o interna all’istituto che sia) quantifichi il merito come mero “numero di ore dedicate a” e “numero degli studenti promossi” è comprensibile, ma per questo negare che il merito debba essere premiato con un emolumento aggiuntivo (per altro non certo da nababbi) è non aver presente forse anche la più elementare definizione (da dizionario di italiano) del merito come “Diritto alla stima, alla riconoscenza, alla giusta ricompensa acquisito in virtù delle proprie capacità, impegno, opere, prestazioni, qualità, valore”.
Quanto valore per l’esercizio della professione, e non solo quella docente, abbiano stima e riconoscenza è esperienza di tutti, per lo meno nell’evidente insoddisfazione che si scatena in chiunque quando questa dinamica, per varie ragioni (inadempienza evidente del lavoratore o incapacità di altri soggetti coinvolti con lui o lei a riconoscerne il merito), viene meno. Nella scuola l’esperienza della stima e della riconoscenza da parte dello studente per un certo docente sono essenziali; quanti di noi, parlando della scuola secondaria ormai alle spalle, direbbero per prima cosa “Che bravo quel prof di Italiano!”. E magari sono anche tornati a salutarlo, per qualche anno, nel corridoio, all’intervallo. Questo, come si suol dire, non ha prezzo ed ha giustamente in sé la sua “giusta ricompensa”.
Ma la giusta ricompensa, o “giusta mercede”, è un diritto del lavoratore; che sia difficile misurare il merito, e non solo nel mondo della scuola, ma in ogni ambito, non deve portare a esasperazioni quali la necessità di negarne la ragionevolezza ai fini remunerativi; cioè che non sia necessario riconoscerlo al docente in busta paga.
Occorre invece adoperarsi, a livello collettivo e non individuale, in uno o più comitati di valutazione, per cercare di individuare parametri più consoni alla natura dell’atto educativo, che vede il concorrere di più soggetti (tanti studenti in una classe, tanti docenti in un consiglio di classe, tanti consigli in un istituto, tanti istituti in una scuola, tante scuole in uno stesso territorio dalle precise caratteristiche socio-economiche e caratterizzato da determinate dinamiche culturali) nel costruire un soggetto criticamente consapevole, strumentato ed autonomo, a partire dal ragazzetto o ragazzetta inconsapevole che entra in prima e ne esce, si spera, adulto in quinta.
Difficile sarà certo individuare parametri valutativi che contemplino anche le sviste e gli errori del “nostro” (suo, di studente, e nostro, di docenti) percorso come passi utili alla crescita del soggetto, evitando innanzitutto la tentazione del “gioco a ribasso”: ignorare cioè la domanda di eccellenza che non è solo del mercato del lavoro, ma anche, crediamoci, delle giovani menti. Anche se difficile, lo sforzo di ogni docente nella scuola dovrebbe essere indirizzato a questa “parametrazione”, e non all’enunciazione di principi astratti che non possono e non devono trovare accoglienza nella realtà vera.