Ho avuto la fortuna di seguire un incontro di Giorgio Vittadini presso la mia scuola, la Zolla di Milano. Nell’incontro è stato messo a tema il ruolo del “character” come punto chiave nell’impostare la scuola in modo che sia veramente formativa.
Dall’analisi di quanto proposto emerge come nel mondo attuale ciò che maggiormente fa la differenza, oltre al livello di istruzione, siano le capacità definite come “non cognitive skills” che, nella loro sintesi, vanno a formare quello che è appunto il character della persona.
Cogliere questa forte sottolineatura è stato per me di grande utilità. Infatti insegnando educazione fisica vedo molti punti costitutivi del character essere fondamentali nella mia disciplina. Li elenco brevemente.
Capacità di collaborare (nel gioco c’è un obiettivo comune e occorre adeguarsi per raggiungere lo scopo); motivazione (nessuno vuole perdere, c’è la possibilità di mettersi in mostra tra pari, uno può migliorare la propria prestazione, la dinamica del confronto e della rivalità emerge continuamente); stabilità emotiva e autocontrollo (gestire il vantaggio e lo svantaggio, la vittoria e la sconfitta di una partita, gestire le dinamiche dei rapporti con i compagni); disciplina (seguire un regolamento di gioco come linea guida per fare correttamente l’attività proposta e in questo scoprire come la regola non è “contro di me”); pazienza (accettare il limite e l’errore di sé e del compagno); capacità di cambiare (in base alle condizioni esterne e o interne); capacità di decidere (su una strategia efficace in base a sé, ai propri compagni e in base agli avversari).
Sono tutte voci, e ce ne sarebbero altre, che già solo in una lezione in cui la classe deve dividersi in due squadre e confrontarsi su un determinato sport sono in atto.
Non sono in grado di dire quanta esperienza cosciente ne facciano gli alunni, ma ho modo di constatare che nei tre anni della scuola media queste voci, che nascono nei bambini già nel periodo pre-scolare, crescono, cambiano, si strutturano e si affinano, andando a cambiare il modo di agire dello studente.
Questi aspetti non sono ben misurabili, o almeno non ho ancora trovato il modo adeguato per farlo. Nel frattempo parto dal mio personale giudizio di considerarle tutte voci che fanno la differenza tra uno studente didatticamente impeccabile e quello che — come dice un mio collega — definisco come un “mio studente” e cioè un alunno che sceglie di percorrere insieme ai suoi compagni e ai suoi professori il cammino della conoscenza.
Nell’esame di stato queste voci non sono ovviamente considerate. In parte le nuove competenze ministeriali hanno voci che iniziano a comprendere i “non cognitive skills”, e questo mi rende speranzoso, ma per quanto riguarda il peso del character nella valutazione conclusiva siamo ancora molto lontani.
Mi piacerebbe riuscire a dare un voto a queste voci e riuscire a formalizzarle in maniera più chiara. Su questo accetto volentieri suggerimenti, proposte e correzioni. Il desiderio di dare un voto nasce proprio dal voler dare il valore dovuto a questi aspetti che incidono a livello di crescita della personalità e diventano in seguito punti determinanti per la propria professionalità nel mondo del lavoro.
Altre due tematiche che sono emerse nell’incontro, e che accenno solo perché non possono essere taciute ma che non voglio né posso esaurire in poche righe, sono l’autonomia scolastica e l’alleanza tra la scuola e le famiglie. Sono aspetti che vedo legati fortemente ai “non cognitive skills” e alla loro valorizzazione.
Una scuola che mira a sviluppare i “non cognitive skills” dovrà cercare nuove strade e modalità per favorire l’emergere di questi aspetti e dovrebbe farlo a partire sia dalla sua organizzazione sia dalla sua strutturazione. Un obiettivo così alto e audace può crescere solo a fronte di un lavoro di ricerca fatto da una scuola in ricerca, lavoro che deve essere svolto su più fronti e da più componenti.
In questo servono un’ottima gestione economica (i conti devono tornare!), una professionalità del corpo docente che sia riconosciuta non solo a parole ma, come in ogni azienda non scolastica, anche attraverso una retribuzione più adeguata, e che porti ad una concorrenza tra realtà basata sulla qualità e sul merito. Inoltre i collegi docenti potrebbero, sempre rimanendo in linea con le indicazioni del ministero, sfruttare meglio l’autonomia rispetto ai programmi, agli orari, alle scelte dei contenuti dando così più spazio ai nuovi aspetti già citati. Nelle realtà dove poi sono presenti più livelli (esistono scuole con alunni che frequentano dall’infanzia alle superiori) il valore aggiunto si ottiene se il lavoro viene fatto sui vari livelli giungendo così ad un curriculum verticale concreto e chiaro. Come già accennato, gran parte del character inizia a formarsi durante l’età prescolare, quindi prima si inizia ad averne cura meglio è.
Decisivo infine l’aspetto di una corresponsabilità scuola-famiglia, un patto educativo che deve essere reale e non solo formale. In questi anni in varie scuole mi è capitato di uscire da alcune assemblee di classi in cui non vi erano grosse problematiche e le domande che emergevano dai genitori erano legate solo a certificazioni per le lingue straniere, aumento e sviluppo dell’esposizione alla lingua inglese tramite madrelingua, lezioni Clil, raggiungimento di obiettivi informatici, richieste di laboratori pomeridiani per organizzare già l’anno seguente ai propri figli, eccetera.
Sono tutti elementi utili, se non indispensabili, e le attività extra scolastiche possono dare una completezza e un respiro sicuramente non banali. Ma quello che mi lascia perplesso è il non vedere nessuno dei genitori che pone al centro la crescita come uomini e donne dei propri figli. Non emergono domande del tipo: sono curiosi? Chiedono? Sanno dialogare tra loro e con voi? Hanno voglia di conoscere? Ascoltano un compagno che chiede? Si aiutano? Li vedete sereni nei momenti liberi? Ridono e sono contenti?
Paradossalmente, nelle classi in cui vi sono problematiche più evidenti i genitori sono inclini ad un dialogo maggiore, arrivando così a guardare veramente gli alunni non come una collezione di certificazioni e uno schedario di nozioni, ma per quello che è il loro bisogno umano fondamentale (e torniamo così, almeno in parte, al character).
Di sicuro studiare le caratteristiche imprescindibili della scuola in cui si lavora è una sfida interessante, e tentare di approfondirne i fattori fondanti dovrebbe essere il punto di partenza di ogni realtà educativa nel compito di riappropriarsi della sua unicità, anche — non da ultimo — per poter rispondere alle sfide sempre nuove che la realtà le pone.