Se qualcuno vi dicesse: perché non aboliamo gli istituti tecnici? Forse lo prendereste a male parole. Ma se faceste la stessa proposta dopo aver presentato i dati dello studio Miur a sei anni dalla riforma Gelmini entrata in vigore nel 2010-2011 che dicono come sono raddoppiate le iscitizonip a linguistici, crollano classico, scientifico e istituti tecnico-professionali mentre fanno il boom i nuovi magistrali, i licei “light” con meno ore di latino e matematica. Ecco, se dopo le emorragie gravi di fronte alle pratiche manuali e professionali, ci fosse la proposta di abolirle, voi cosa rispondereste? Ecco forse continuereste a prendere il vostro interlocutore a male parole; esattamente faremmo noi, non tanto per particolare maleducazione ma proprio per una spiccata affezione all’educazione, scusate il gioco di parole, non saremmo particolarmente d’accordo con la proposta avanzata realmente da alcuni settori delle scuole regionali e da alcuni comitati di dirigenti scolastici. La crisi investe in pieno gli istituti professionali che in sei anni hanno ceduti agli istituti concorrenti circa 23mila ragazzi letteralmente fuggiti: su tutti, i licei delle scienze umane (i “light”) presto non solo supereranno i classici, ma faranno incetta di moltissime iscrizioni a tecnici o professionali. I licei scientifico e classico calano leggermente, ma appunto salgono enormemente le altre 4 forme previste dalla nuova riforma.
Come fermare questa emorragia? «La tendenza a evitare le discipline più difficili. Scelta che non sempre alla lunga premia. Ben venga invece il boom dei linguistici in un Paese come l’Italia dove le lingue si insegnano male», spiega Gregorio Iannacone dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici vede nella fuga dal classico e dallo scientifico tradizionale quello che è più lecito immaginare. Ma se la crisi dell’educazione investe l’uomo a tutto tondo, come si può a priori decidere che una delle mansioni/interessi/propensioni dell’umana natura venga del tutto abolita? Attenzione, non siamo paladini a priori della manualità al posto della teoria, come qualcuno potrebbe credere e professa: siamo piuttosto cultori dell’educazione sotto ogni punto di vista. E che “incontro” con la realtà si può proporre, che insegnamento sulla natura della persona si può dare a dei ragazzi se si impedisce loro di poter scegliere e sviluppare una parte della propria natura? La manualità, la propensione alla tecnica e lo studio professionale è in crisi ma più che altro per formazione antiquata e pochissimo incontro con il mondo reale delle aziende (laddove avviene sono poli di valore assoluto che competono tra l meglio in Europa, ma sono troppo pochi purtroppo); non certo perché l’educazione “tecnica” è fallimentare.