Frequentemente nei dibattiti che riguardano la scuola e l’educazione si tengono separate la dimensione amministrativa-gestionale, politica e pedagogica. Personalmente ritengo, invece, che per generare innovazione nei processi educativi sia fondamentale tenerle strettamente in relazione e che ogni discorso sull’autonomia scolastica chieda relazioni e interdipendenze istituzionali, sociali e pedagogiche.
Reggio Emilia è una città che ha cercato di mettere al centro delle politiche pubbliche, attraverso un articolato sistema pubblico-integrato, l’obiettivo di garantire il diritto all’educazione di tutti i bambini attraverso la qualità dell’esperienza di cura, di benessere e di educazione, e contemporaneamente di rispondere al diritto-bisogno di conciliazione di vita e lavoro dei genitori.
L’esperienza educativa di Reggio Emilia prende vita nell’immediato dopoguerra dalla volontà dei cittadini di corrispondere ai diritti dei bambini, nasce perciò da gesti di partecipazione e di solidarietà sociale molto forti. Un impegno civile, quindi, che si è saldato con gli intenti politici di amministratori sensibili e di pedagogisti come Loris Malaguzzi, che hanno intrecciato l’istanza sociale e il discorso pedagogico dando vita a un’esperienza di scuole dell’infanzia e di nidi comunali ispirata a una nuova idea di bambino, ma anche di insegnante e di genitore. Un’esperienza educativa che, partendo dal rispetto e dal riconoscimento delle potenzialità delle bambine e dei bambini, fosse in grado di legittimare il loro diritto a essere educati in contesti pensati e costruiti in sintonia ed empatici con le loro capacità.
Al centro del progetto educativo dei nidi e delle scuole comunali dell’infanzia di Reggio è il bambino in relazione, capace di costruire i suoi apprendimenti (relazioni, abilità, competenze, conoscenze), portatore di creatività.
Bambini che, nello scambio e nella relazione con gli altri bambini e adulti, incontrano il mondo, si fanno domande, realizzano esperienze, si stupiscono, ricercano nuove situazioni, formulano ipotesi e teorie che sembrano a loro adatte per spiegare fenomeni o per comunicare idee e sentimenti.
I nidi e le scuole dell’infanzia si strutturano su un approccio alla conoscenza che nasce prima di tutto dalla ricerca con gli altri, dallo scambio di saperi, che mette al centro l’apprendimento del bambino nel gruppo e col gruppo. Un approccio interdisciplinare e partecipato in cui trovano sviluppo i cento linguaggi che appartengono fin dalla nascita a tutti gli esseri umani.
La teoria dei cento linguaggi propone il superamento della preminenza della parola, selettiva, per dare a tutti possibilità e dignità di apprendimento, riconoscendo a ogni soggetto la libertà e la legittimità della differenza. Una democrazia della conoscenza e un riconoscimento della differenza che le neuroscienze oggi suffragano dal punto di vista neurofisiologico.
Ogni bambino ha suoi modi di conoscere, di entrare in contatto con il mondo: i cento linguaggi dei bambini sono plurimi accessi al mondo, non gerarchizzati, liberi ingressi che come adulti abbiamo la responsabilità di consentire ai bambini per aprire le loro menti.
I nidi e le scuole dell’infanzia si propongono, attraverso i valori e le pratiche che quotidianamente agiscono, come luoghi dove la città produce e rinnova la sua cultura dell’infanzia; propongo un’idea di scuola in dialogo costante con la città.
L’intento è quello di costruire una scuola-luogo della città e del mondo, in costante dialogo con la contemporaneità, e di dare forma a una scuola del bambino da 0 a 6 anni non autoritaria, non istruttiva, non programmatoria, ma luogo di democrazia improntato alla libertà, al dialogo, al rispetto delle soggettività, del diritto di ognuno a sviluppare le proprie differenti potenzialità.
Loris Malaguzzi, parlando dei nidi e delle scuole dell’infanzia affermava: “Qui ci sono bambini e adulti che cercano il piacere di giocare, lavorare, parlare, pensare, inventare insieme. Impegnati ad imparare come l’essere e i rapporti delle cose e degli uomini possano essere ricercati e goduti in amicizia”.
Un invito a non perdere mai la fiducia nel futuro e a inseguire l’utopia del possibile.