La scuola è ormai arrivata alle ultime incombenze. Fra poco vi sarà il nuovo ministro (che in realtà non è necessario). Ma che vi sia una guerra in Siria, che a Gaza siano morti 60 palestinesi e che vi sarà un nuovo ministro dell’Istruzione sono cose di cui nei corridoi scolastici e nelle aule non si parla; non solo da parte degli studenti, ma nemmeno dei professori. Questo restringimento degli orizzonti è certamente un’anomalia, il risultato di qualcosa che non va.
Eppure la realtà che si incontra in queste ultime settimane a scuola è proprio quella di spazi stantii, soffocanti, dove studenti e insegnanti si affannano per chiudere l’anno con le ultime interrogazioni e le ultime verifiche. E’ una corsa affannosa, senza un attimo di pausa, e il nervosismo da una parte e dall’altra è alle stelle. Esito di questa tensione quasi nevrotica è che la realtà non esiste più o meglio è ridotta alle scadenze della scuola, appiattita a quello che si deve fare per chiudere l’anno scolastico al meglio. Ma così la scuola è più un’avventura entusiasmante, è una camera opprimente.
Come mai succede questo? E’ da anni che me lo domando, ma non so dare altra risposta se non che la responsabilità di questa situazione è di noi insegnanti. Siamo noi insegnanti a chiudere gli orizzonti, a ridurre la scuola ad una somma di interrogazioni e di verifiche. E non perché, come dicono molti, ci dovremmo organizzare meglio, ma perché non abbiamo ancora capito che cosa significhi fare le ultime interrogazioni e le ultime verifiche che pure è giusto fare. Non abbiamo ancora capito che le ultime interrogazioni o le ultime verifiche non devono essere sull’ultimo argomento spiegato il 15 maggio, quando un ragazzo o una ragazza non ha più le energie per apprendere qualcosa di nuovo. E’ assurdo questo modo di procedere, che vuole ragazzi e ragazze che sappiano tutto, anche il particolare più minuto; è assurdo e capace solo di produrre ansia in quantità industriale.
E’ ora che gli insegnanti capiscano che le ultime interrogazioni e le ultime verifiche devono avere un’impostazione del tutto diversa, devono identificare i passi di un cammino di conoscenza compiuto insieme e aiutare studenti e studentesse a prenderne coscienza. Questo è il compito che noi abbiamo a fine anno, non di fare interrogazioni in cui è in gioco la promozione o la bocciatura, né di vedere se sia stato appreso l’ultimo argomento spiegato, ma di valorizzare insieme a studenti e studentesse il percorso fatto e di fissarlo, così che ognuno lo faccia definitivamente suo.
Fare così però è un modo diverso di concepire la scuola, è riconoscere la positività di un cammino e credere che questo valga e costruisca la maturità di ognuno o di ognuna. E’ tempo che nella scuola si cambi passo, è tempo che si abbia a cuore ogni studente e studentessa e lo si aiuti a prendere coscienza di ciò che ha imparato. Solo così la scuola è un’avventura, una novità che accade passo dopo passo, un’apertura che dilata gli orizzonti.
Ma i primi a dover cambiare passo siamo noi insegnanti, perché che vi sia ansia e ripiegamento su se stessi dipende dalle domande che noi poniamo. E’ a noi insegnanti, ultimamente, che non interessa la realtà. Quando diventeremo capaci di riconoscerla?