SCUOLA/ Le ragioni di Casalino (M5s) che a Bussetti conviene non “vedere”
“Obbediscano o li cacciamo”, ha detto dei tecnici del Mef Rocco Casalino (M5s). Il suo sfogo, sommerso dalle critiche, contiene però un’importante verità. PIERLUIGI CASTAGNETO

Il portavoce del premier Giuseppe Conte ne inventa una al mese per ottenere le prime pagine dei giornali. Ad agosto quella degli sms inviati a giornalisti amici, che mettevano in evidenza i fischi contro gli esponenti del Pd, scritti nel bel mezzo dei funerali delle vittime del ponte Morandi a Genova. Ora le minacce di purghe ai dirigenti del ministero dell’Economia, che, rei di non essere in grado di trovare i fondi per finanziare il reddito di cittadinanza, “o obbediscono o li cacciamo”.
Il povero Rocco Casalino ora si scusa, ma intanto tutti parlano di lui e il messaggio è stato inviato ai destinatari. Il portavoce ha sicuramente sbagliato, ma quelle parole non le poteva dire Di Maio o il suo capo, così il giornalista si è preso la briga di mettere sull’avviso i funzionari del Mef. Tuttavia, al di fuori di ogni ipocrisia, oltre alle infinite e stucchevoli dichiarazioni di sdegno subito comparse su tutti i media, il “caso Casalino” ha svelato l’acqua calda. È noto infatti come nei ministeri più che i politici contino i funzionari, quegli alti dirigenti che negli ultimi anni di servizio, se hanno buoni agganci e se hanno una laurea in giurisprudenza o economia, passano spesso alla magistratura contabile, con lauti stipendi, carriera sino a settant’anni e pensioni d’oro. Gente che conosce bene le maglie dell’amministrazione statale e che utilizza le proprie competenze per fare da contraltare ai ministri e sottosegretari di turno, per cui la politica spesso perde la propria funzione di guida e non riesce a imporsi di fronte ad apparati di potere consolidati nel tempo e politicamente autoreferenziali.
Alcuni li chiamerebbero, certo sbrigativamente, una “casta”; direttori generali, di dipartimento, dirigenti tecnici, con il compito di mettere i paletti, a suon di atti amministrativi, entro i quali i politici prendono le decisioni. Personale politico preparatissimo, defilato, avvezzo ai corridoi e per nulla alle tribune, la realtà e che i “tecnici” speso e volentieri sono tutti uguali, dal Mef al Mibac, sino al Miur.
Il ministero di viale Trastevere è la dimostrazione lampante di tale logica. Giova ricordare come la “Buona Scuola” di Renzi sia stata azzoppata all’interno del ministero guidato dalla Giannini, una linguista dell’Università di Perugia che poco o nulla sapeva dell’apparato burocratico che doveva gestire. Anche il ministro Moratti subì la stessa sorte e chi non si ricorda del plenipotenziario Domenico Fazio, che tra gli anni 80 e l’inizio del duemila metteva in riga politici di tutte le razze e stagioni?
Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti è dunque avvisato, lui che dovrebbe conoscere molto bene l’organizzazione amministrativa del Miur, avendo ricoperto sino a pochi mesi fa un incarico dirigenziale periferico del ministero di cui ora è al vertice. Bussetti deve sapere (o forse sa molto bene) che al Miur conterà pochissimo e che quel dicastero è pieno zeppo di funzionari che vogliono una scuola onnicomprensiva, poco propensa all’efficienza, sempre prona all’accordo politico-sindacale, fortemente centralizzata, ma allo stesso tempo scarsamente interessata alle sfide educative, ideali e formative a cui i giovani italiani chiamano ogni giorno i loro docenti.
Per capire come si perpetua questa classe dirigente basta andare sui siti ministeriali e leggersi i curricula dei vari direttori. Una lettura interessante per farsi un’idea di come si formino le competenze di che governa davvero la scuola. Fino a quando?
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