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Home » Educazione » SCUOLA/ La “questione meridionale”, figlia di centralismo e autonomia inesistente

  • Educazione

SCUOLA/ La “questione meridionale”, figlia di centralismo e autonomia inesistente

Maria Paola Iaquinta
Pubblicato 14 Febbraio 2019
(Pixabay)

(Pixabay)

Interrogarsi sulle cause dell’arretratezza e dei problemi della scuola italiana al Sud consente di spiegare l’esito dei dati Invalsi e molto altro

Grazie alle ultime dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti in questi giorni anche i non addetti ai lavori si interessano di scuola. Leggendo le prime pagine dei giornali è facile comprendere quale tipo di polverone si sia scatenato. Venerdì scorso il ministro, durante una visita in provincia di Napoli, ad una domanda al volo di un cronista che gli chiedeva che cosa servisse al Sud per recuperare il gap con le scuole del Nord, ha così risposto: “Ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte, questo ci vuole”. Non fondi maggiori dunque, bensì “…impegno, lavoro, sacrificio”.


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Subito dopo si è assistito ad un moltiplicarsi di documenti sindacali di rivendicazione, lettere di malcontento di presidi ed insegnanti, pareri contrastanti di membri del Governo. In buona sostanza, una protesta corale in cui si è ricordato che lavorare in tante scuole del meridione è difficile per via delle continue emergenze sociali e civili di territori in cui gli enti locali sono in dissesto o travolti dalla corruzione.


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Anche le statistiche nazionali confermano le preoccupazioni: nell’ultimo Rapporto Istat sul benessere equo e solidale risulta che l’abbandono scolastico in Italia è in crescita. Nel 2017 i giovani dai 18 ai 24 anni non inclusi nel sistema di istruzione e formazione sono aumentati, arrivando in un anno all’11,3%, contro il 10,6% dell’anno precedente. Le percentuali di abbandono più alte si registrano nelle grandi isole: Sardegna (21,2%) e Sicilia (20,9%). In altre regioni del Centro-Nord, invece, la percentuale di giovani che abbandona è inferiore al valore medio europeo: Abruzzo (7,4%), Umbria (9,3%), Emilia-Romagna (9,9%), Marche (10,1%), Friuli-Venezia Giulia (10,3%) e Veneto (10,5%).


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Per ciò che riguarda gli esiti scolastici poi, dai risultati dei test nazionali standardizzati continua a emergere che le Regioni del Sud sono il fanalino di coda. Al riguardo Anna Maria Ajello, presidente dell’Invalsi, un anno e mezzo fa dichiarava a Repubblica che “al Sud ci sono molte realtà eccellenti. Ma poi, quando si passa ai test standardizzati, il contesto fa la sua parte”.

Insomma, proprio nelle zone del paese in cui c’è più bisogno, risulta ancora difficile coniugare qualità dell’insegnamento ed equità dei risultati. C’è dunque davvero bisogno di più impegno, lavoro e sacrificio da parte della scuola per l’attuazione delle istanze di cittadinanza attiva anche in contesti socio-culturali difficili? “Per educare un figlio ci vuole un villaggio” ha ricordato Papa Francesco in occasione della giornata della scuola organizzata in Piazza San Pietro a Roma nel 2014. Si tratta di un antico proverbio africano di estrema saggezza ed attualità. In quale sistema formativo integrato studiano i bambini e i ragazzi italiani? Tutti hanno pari opportunità?

Si è osservato che le statistiche mostrano un’emergenza socio-economica diffusa e concentrata nelle regioni meridionali del paese, con tanti brillanti cervelli in fuga. La scuola, in Italia, non è più un ascensore sociale e sembrerebbe tristemente destinata a riprodurre ed accentuare le differenze di classe. Nella compiuta attuazione dell’autonomia scolastica, così come disegnata dalla legge istitutiva 59/1997, le scuole italiane avrebbero potuto fare da apripista per il miglioramento sociale e culturale nei territori “a rischio”. Purtroppo, nell’ultimo decennio l’autonomia scolastica è stata travolta dal decentramento amministrativo ed il moltiplicarsi dei compiti burocratici ha allontanato dalla didattica i presidi, obbligati ad occuparsi in prima persona di questioni attinenti la sicurezza, la privacy, la rappresentanza in giudizio, le graduatorie, la stipula dei contratti di lavoro, l’organizzazione contabile, i vaccini e via discorrendo.

L’autonomia scolastica si è così rivelata il classico vaso di coccio stretto tra i vasi di ferro delle autonomie locali. Le scuole, le cui risorse si sono ridotte progressivamente nel tempo a causa della spending review, si muovono con difficoltà nei contesti sociali “a rischio”, soprattutto in quelli fortemente piagati dalla corruzione, che blocca e rallenta i processi di miglioramento sociale e culturale.

In una prospettiva di miglioramento democratico, le singole scuole non possono essere lasciate da sole con il cerino in mano: la lettura dei dati statistici rivela infatti l’esistenza di una forte disuguaglianza, oltre che tra istituti scolastici, anche tra opportunità offerte dai vari sistemi formativi integrati locali, a discapito della tanto agognata uguaglianza dei punti di partenza, cardine della nostra Costituzione. I dati statistici rilevati dovrebbero concretamente servire ai decisori politici per stabilire gli interventi perequativi da mettere a sistema nelle aree più povere del paese. Prima di comparare i risultati nei test Invalsi tra le varie regioni italiane, dunque, bisognerebbe considerare, ad esempio, che nella scuola primaria il tempo pieno al Sud non è mai decollato e i bambini al momento si accontentano di 27 ore di scuola a differenza delle 40 destinate agli alunni del Centro-Nord.

In mancanza di investimenti strutturali che coinvolgano tutto il sistema formativo integrato, le scuole dei territori a rischio in cui gli educatori lavorano con impegno e sacrificio personale continuano a rappresentare veri e propri avamposti di frontiera, presidi di democrazia, in cui le lodevoli iniziative individuali, prive del supporto strutturale, difficilmente si tramutano in stabili buone prassi trainanti per il territorio circostante.

E allora, certo, più “impegno, lavoro e sacrificio”, ma da parte di tutti gli attori del sistema formativo integrato. Ben venga quindi il pubblico dibattito sui paradossi del sistema scolastico italiano: se ne dovrebbe fare utile uso per un ampliamento di prospettiva. Si intravede all’orizzonte la sfida da raccogliere: uscire dalle ambiguità di un modello scolastico centralistico, ingessato nell’ossequio alle procedure, per percorre in sinergia con i territori locali strade di miglioramento culturale, professionale e di equità sociale, nell’interesse dello sviluppo democratico dell’intero paese.


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