“Un fortissimo desiderio, un desiderio estremo”: ricordo i miei alunni, la prima volta che ho presentato il programma che intendevo svolgere per partecipare alle Romanae Disputationes, il concorso nazionale di filosofia per scuole superiori. Ho spiegato loro che per tutto il primo periodo dell’anno ci saremo occupati del desiderio, della sua natura e della sua importanza. Io ero pronta, con il mio progetto didattico, la scansione delle attività, i tempi, i materiali, loro invece un po’ scettici. Già. Dal punto di vista di un ragazzo è comprensibile: la scuola può occuparsi di una cosa reale e seria come il desiderio? O almeno occuparsene in modo vero, non come un discorso concluso, non ridotto al già saputo dei contenuti scolastici? Può parlarne senza censure?
Una risposta si è fatta strada fin dal mese di ottobre, con il convegno di presentazione organizzato nella nostra scuola, poi lo streaming della lezione inaugurale, e le videolezioni su YouTube ad accompagnare le mie. Mi vengono in mente volti e nomi, perché ciascuno si è speso in modo singolare, mettendo in gioco quello che sapeva: tradurre, ricercare, inventare storie e persino coreografie. Ho in mente le tre ragazze di quarta che hanno voluto sfidarsi, scegliendo di partecipare al concorso nella modalità che sentivano più difficile e le loro compagne che invece non hanno avuto il coraggio di iscriversi, temendo di togliere tempo allo studio o agli impegni, e poi, alla fine, mi han consegnato ugualmente un loro saggio, scritto con passione e dedizione. E mi dispiace per il team che non ce l’ha fatta a consegnare, per un dannato ultimo inconveniente, anche se non è davvero l’esito quello che conta. Come non importa se uno in classe c’è sempre stato poco, perché segue un piano didattico speciale dovuto alla sua disabilità: il video a cui ha lavorato porta i segni del suo contributo, riconoscibile e indispensabile.
A pensarci è una cosa che emoziona. Come si è emozionata la regista di un video nello scorgere l’ammirazione sincera di compagni e professori, e allora ci ha raccontato delle venti ore passate al montaggio – e venti ore sono tante per una che alla scuola non aveva mai dedicato così tanto tempo.
In genere di impegno ne ho visto molto, e fervente. Girando tra i gruppi ho sentito parlare con disarmante familiarità dei maestri che ci hanno guidato: De Caro, Esposito, Sini, Recalcati, ad esempio, chiamati a testimoni nelle discussioni, insieme a Spinoza, Aristotele, Agostino, Cartesio, Lacan, Dante, e gli altri autori, citati da fotocopie, libri, tablet e soprattutto smartphone (perché oggi si usa così e perché, in fondo, così si son resi utili).
Ecco, detto in questo modo sembra il racconto di una bella ma effimera iniziativa (oggi si dice un progetto didattico) che ha aperto uno spiraglio nell’opacità di quella routine scolastica che tra poco tornerà padrona; ma non lo è, invece, perché ci ha lasciato almeno due guadagni.
Il primo è la consapevolezza che non ci sono domande proibite: i testi e gli autori a cui rivolgerle li propone la scuola, ma la domanda che gli si rivolge è personale ed è segnata dalla qualità, dalla forza e dalla specificità del desiderio di ciascuno, che conferisce vita e plurali prospettive ai contenuti studiati e li rende contemporanei, interessanti, e finanche compagni di cammino.
Il secondo guadagno è stato il rigore del metodo. Perché il desiderio, abbiamo scoperto, è esigente: tanto ci carica di motivazione, quanto poi è tiranno nel denunciare le manchevolezze e le approssimazioni. E allora, addio alle scorciatoie e ai riassunti: per raccontare una storia bisogna documentarsi sulle tipologie narrative, per documentarsi serve leggere gli autori con il testo a fronte, e vien voglia di andare a cercare i libri pubblicati da chi nelle videolezioni ci ha emozionato, per rendere più nostri i concetti e il metodo utilizzato.
E da ciò anche un terzo guadagno, che fa sorridere, ma che posso menzionare qui in chiusura: un sacco di voti belli nell’interrogazione sull’unità successiva, a testimoniare che la proposta delle Romanae Disputationes sul desiderio è un’eredità duratura.