ELEZIONI QUIRINALE/ Ecco il jolly che scopre i giochi di Pd e M5s
Accanto a Draghi e Casini sbuca la carta Cassese, però nelle mani del centrodestra. Ora si aspetta la risposta di Pd e M5s. Oggi quarta votazione e soglia di 505 voti

“Stanotte tenete i telefoni accesi” ha dichiarato Salvini ieri sera, quando ancora sembrava che dovesse riunire i grandi elettori della Lega prima (o dopo) un nuovo incontro con Letta e Conte. Macché: “stanotte vado a dormire” gli ha risposto a distanza il segretario del Pd. Smentito a sua volta da Giuseppe Conte: “evoluzioni previste nella notte”. Sarà interessante, quando l’Italia avrà il suo nuovo presidente, conoscere gli sms e i retroscena di queste ore. Nel frattempo, al termine di una giornata finita con meno certezze di quando è cominciata, ecco qualche punto fermo e il borsino degli aspiranti successori di Mattarella.
Casini è stabile. “Non appartiene al centrodestra” dice di lui Salvini, e a ragione: se si ritrovasse a votarlo, sarebbe una concessione al centrosinistra. Sono i voti “rossi” di Bologna ad avere riportato l’ex pupillo di Forlani in Senato. Con Renzi. Il metodo-Letta (decido io chi è super partes) ne fa un esponente di sinistra, moderato, e in corsa. Il tempo gioca a suo favore. Ma nel passato di Casini c’è una militanza nel centrodestra, da lui fondato insieme a Silvio Berlusconi e a Gianfranco Fini. Sarà forse proprio questo fatto a renderlo magicamente bipartisan?
E Draghi? Il presidente del Consiglio ieri ha riguadagnato posizioni. In parlamento ha chi tiene le fila per lui: Letta lavora per averlo al Quirinale e ha costruito il suo metodo intorno al premier. Draghi è l’unico, vero candidato super partes, se si eccettua Mattarella, perché è il premier di una maggioranza che va da Lega e FI fino a Leu, passando per il Pd. Ergo, qualunque altra candidatura, essendo di parte, mina gli equilibri della maggioranza, è “divisiva”. E mette a rischio il governo. Una clava che ha permesso a Letta di smontare tutte le proposte di centrodestra: se si eccettua Berlusconi, non solo la terna Pera-Moratti-Nordio, ma anche Tajani e Casellati.
La Casellati, appunto. Le sue azioni scendono. Comincia Repubblica mercoledì mattina: “Colle, l’ombra di Casellati”. Qualcuno denuncia operazioni di scouting a suo favore e tanto basta. Conte la voterebbe, la maggioranza dei 5 Stelle pure, ma Letta si impone e dà la linea: un nome non “condiviso” come quello della seconda carica dello Stato spaccherebbe la maggioranza e metterebbe a rischio il governo. “Impediti esiti pericolosi”, diranno in serata dalle parti del Pd. Va detto che “Queen Elizabeth” è molto malvista in FI. Dalla Bernini in particolare.
E poi c’è Sabino Cassese, new entry. La Lega “smentisce” che Salvini lo abbia incontrato, ma questo è uno scoglio per addetti ai lavori facilmente superabile. Difficile bollare come divisivo il nome spuntato dal cassetto di Salvini: ex giudice costituzionale, ministro nel governo Ciampi ed editorialista del Corsera. Non solo. Chi ha un pizzico di memoria politica ricorda che il Pd fece il suo nome come possibile candidato alla presidenza della Repubblica nel 2013. È il jolly che Letta non può rifiutare, se non al prezzo di smentire se stesso.
Si capisce anche perché il segretario del Pd abbia deciso di dormirci sopra. Con l’operazione-verità Cassese il centrodestra punta a far cadere l’ultima foglia di fico, e cioè che il Pd lettiano, in realtà, vuole solo Draghi. Non altri. In Transatlantico anche i peones meno navigati capirono subito, nel febbraio 2021, che l’ex presidente della Bce non sarebbe arrivato per fare il salvatore della patria per due annetti scarsi, fino alla scadenza della legislatura, e il rischio, per di più, che il rinnovo della presidenza della Repubblica mettesse a repentaglio il ruolo di una delle personalità italiane più stimate dall’establishment europeo e mondiale. “Qualcuno – confidano alcuni parlamentari – deve pur avergli promesso qualcosa. Perché non il Colle?” Erano i tempi nei quali Enrico Letta, riluttante, lasciava Parigi per tornare alla guida del Pd post-Zingaretti.
Unico problema di Letta: l’alleato Conte non vuole Draghi al Colle, meglio resti a Chigi. L’ex premier (e Grillo con lui) direbbe sì al Mattarella bis, come tutti i 5 Stelle, ma il Mattarella bis avrebbe il no del centrodestra. Sembra proprio che la palla sia di nuovo nella metà campo di Letta, Conte e Speranza. E sta a loro calciarla.
P.S.: ovviamente ci sono altri nomi “papabili” che filtrano dagli spifferi della politica, ma prima di parlarne è meglio aspettare qualche ora in più.
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