Un addetto ai lavori, docente universitario di Chimica generale e inorganica, riflette sul modo con cui si trasmettono conoscenze scientifiche agli studenti, formulando quasi un appello anche ai docenti della secondaria di secondo grado. La chimica, vista dai più come materia «difficile» e costituita da informazioni che si devono mandare a memoria, è invece un percorso di ricerca che mette in campo metodi, modelli, approcci che documentano la storia e l’evoluzione del pensiero umano nella conoscenza della realtà. Alle superiori come all’università, gli studenti potrebbero capire meglio il significato dei contenuti più attuali della chimica, e dei fenomeni ad essi collegati, se solo conoscessero questi aspetti fondativi della disciplina. Questo contributo è una provocazione perché i «maestri» escano allo scoperto e documentino che è possibile – e vantaggioso per l’apprendimento – insegnare la chimica dell’oggi senza riduzioni, ma anzi aprendo alla grande specificità disciplinare contenuta nei passi compiuti per raggiungere scoperte che hanno rivoluzionato il mondo.
Permettetemi di proporre un commento generale sul modo attuale di presentare argomenti scientifici ai nostri studenti siano essi delle scuole superiori che universitari. Mi piace soffermarmi su un’affermazione molto forte di Gaston Bachelard (1884-1962) [1, 2], che attesta come spesso il fine dell’insegnamento delle scienze viene ridotto a una semplice descrizione dei fatti. Tutto ciò ha purtroppo come conseguenza il fare appello alle capacità mnemoniche degli studenti per il ricordo di un evento (empirismo della memoria) piuttosto che aiutare a comprendere e approfondire le ragioni (l’ordine delle ragioni) sottesa nello stesso. E invece è proprio il comprendere le ragioni che aiutano gli studenti a pensare razionalmente.
Un’affermazione analoga si trova nel libro di Mansoor Niaz [3], quando dice che una mancata concettualizzazione si vede dal fatto che gli studenti memorizzano le leggi scientifiche e le relative espressioni matematiche e cercano solo dei valori numerici per soddisfarle. Egli ha apostrofato questa tendenza con algorithmic mode di imparare le discipline scientifiche, che è anche certamente conseguenza di un certo modo di insegnarle.
Manuali scientifici: la sagra dei paradigmi vigenti
La maggior parte dei manuali scientifici in uso nella stragrande maggioranza delle università (ma quelli delle scuole superiori non sono da meno perché, tranne qualche caso, sono solo una brutta copia dei testi universitari) presenta la conoscenza scientifica e le nozioni fondamentali a essa connesse come se tutto ciò che noi conosciamo fosse stato acquisito una volta per tutte. Il che significa che non c’è spazio né per una critica né per un ripensamento. Inoltre la maggior parte degli insegnanti a tutti i livelli è solo preoccupata di proporre i dettagli di una disciplina scientifica senza però entrare realmente all’interno della problematica da cui essa è sorta.
Potremo usare alcune delle affermazioni di Thomas Khun [4] per dire che è come se gli studenti fossero posti sempre di fronte al paradigma scientifico vigente, senza essere aiutati a capire la natura problematica del periodo preparadigmatico.
[A sinistra: Thomas Khun (1922-1996)]
La figura di Khun è sicuramente molto controversa, perché il suo modo di guardare alla storia delle scienze ha avuto un grande impatto sulla scienza stessa, ma anche sulla filosofia della scienza e sull’insegnamento delle materie scientifiche. Le sue affermazioni non sono universalmente apprezzate e su di esse si è sviluppato un grande dibattito. Potrebbe essere interessante leggere alcuni articoli come quelli di H. Andersen [5], P. Slezak [6], B. Van Berkel et al.[7] e M. R. Matthews [8].
Occorre considerare il potere che la storia ha di informare il presente opponendosi allo scientismo e al dogmatismo che si ritrovano comunemente nei manuali scientifici [9].
È questo il motivo per cui i testi di Chimica Generale si rassomigliano così tanto. I nostri studenti non imparano problemi, questioni o dibattiti che furono tanto importanti nel passato e potrebbero essere rilevanti nel presente, ma soltanto le soluzioni ormai universalmente accettate. In altre parole invece che imparare risposte a possibili domande, i nostri studenti dovrebbero imparare a porre domande e a trovare le possibili risposte, riconoscere i problemi che possono essere trattati con l’odierna conoscenza chimica.[10]
Storia e metodi della scienza, dimensioni dimenticate
Quando lo studente viene posto di fronte a un percorso scientifico, non s’imbatte mai né nella ricerca, né nella storia o nei fondamenti di una disciplina e, come spesso accade, i manuali scientifici danno anche un’immagine distorta di questa storia. Inoltre, l’educazione normale che si riceve in Chimica soffre di un’impostazione prettamente positivistica: la scienza viene considerata come un’attività in continua crescita e lo stesso metodo scientifico viene presentato come l’unico modo per conoscere la totalità della realtà sia fisica che umana, ignorando che chi si occupa di scienza utilizza una pluralità di metodi ed approcci.
Mi sembra opportuno sottolineare come l’insegnamento di argomenti scientifici possa essere corroborato indirizzando l’attenzione degli studenti sullo sviluppo storico di nozioni e pratiche scientifiche, perché esso non può essere ridotto solo alla riproposizione di dettagli, ma deve riguardare anche gli aspetti culturali dei temi principali che vengono affrontati. Tutto ciò non significa dover per forza insegnare un corso parallelo di Storia della Chimica, anche se esso può essere proposto, e, in tal caso, deve certamente essere coordinato con le altre discipline chimiche.
[A destra: George B. Kauffman (1930-…)]
Sono cosciente che è veramente difficile convincere i nostri colleghi che occorre cambiare e che lo scopo principale dell’insegnamento della Chimica non può essere quello di spiegare quanto più argomenti possibili lungo tutto l’anno accademico o scolastico (a proposito vista l’ignoranza diffusa degli studenti della scuola media superiore, mi chiedo se vi s’insegnano ancora alcuni rudimenti di Chimica). Anzi, penso proprio che sia ragionevole limitare il numero di argomenti da proporre (al giorno d’oggi, le ore in un semestre non sono mai sufficienti) e solo quelli più importanti considerandoli anche dal punto di vista storico e filosofico.
Infatti, un approccio culturale a livello universitario richiede la proposizione di argomenti storici ed epistemologici proprio per un maggiore approfondimento dei temi discussi. Come spesso affermato da George B. Kauffman: integrare la storia delle scienze nei nostri corsi universitari può essere fatto sia lungo tutto l’arco del corso stesso o solamente per quegli argomenti verso i quali il docente ha un particolare interesse, poiché siamo consapevoli che l’educazione di un chimico senza una qualche inclusione della storia della Chimica resta un fatto incompleto e del tutto insoddisfacente [11].
Quindi, i corsi introduttivi di discipline scientifiche devono essere immaginati con lo scopo precipuo di introdurre lo studente allo studio dei punti cruciali della storia e della filosofia della scienza[12].
Scienza o tecnica?
So bene che chi opera nel campo della ricerca scientifica, spesso piuttosto che essere un vero innovatore, è solamente qualcuno capace di risolvere problemi. Seguendo il punto di vista di Kuhn (scienza normale), egli concentra i suoi sforzi nel cercare di risolvere tutti i punti oscuri, perché la soluzione di questi è indicata nella tradizione scientifica vigente (paradigma). E questo modo di operare ha conseguenze anche nel modo di insegnare la scienza, perché gli studenti sono educati a diventare delle persone capaci di risolvere problemi, accettando l’odierno punto di vista scientifico in modo poco critico.
Tuttavia, insegnare agli studenti come risolvere problemi non è necessariamente una cosa cattiva, data la loro scarsa attitudine allo studio concreto, allo stesso modo con il quale vengono educati i musicisti attraverso faticosi esercizi manuali, ma questo non impedisce loro di diventare in un secondo tempo fini interpreti delle opere musicali o compositori d’avanguardia.
Comunque questo tipo d’insegnamento deve arrivare alla comprensione di tutti i nessi che riguardano lo specifico del tema trattato. In altre parole, si richiede che gli studenti imparino i concetti e diventino capaci di razionalità nell’esame degli argomenti, dando le ragioni delle loro affermazioni [3, 13].
Insegnare la scienza ha bisogno di un percorso di inculturazione dentro le idee, i modelli e i metodi della scienza attuale, e, quindi, la crescita della comprensione scientifica va di pari passo con l’iniziazione dentro una tradizione scientifica [9].
Come spesso affermato dallo stesso Karl R. Popper, l’insegnamento a livello universitario dovrebbe essere un allenamento e un’abitudine a pensare criticamente [14].
Karl R. Popper (1902-1994)
Certamente questo comporta che molti docenti sarebbero costretti a interrogarsi circa gli aspetti storici e filosofici della disciplina che insegnano e assicuro loro che questo lavoro può essere incredibilmente interessante. Se i nostri studenti fossero abituati ad apprezzare di più la storia delle scienze e la sua connessione con i valori e la cultura della società, le implicazioni filosofiche e metafisiche, avrebbero certamente la possibilità di arricchire la loro cultura e la loro vita. Sarebbero certamente aiutati nell’usare le loro capacità raziocinanti.
D’altra parte come si può insegnare senza una personale e continua attività di ricerca e studio? Come abbiamo spesso visto nella nostra esperienza di discenti, ogni professore che si rispetti ha il proprio approccio all’insegnamento, che è molto di più che conoscere gli argomenti essenziali, perché ha in mente un percorso da proporre ai suoi studenti. Egli si coinvolgerà in questo percorso e sarà desideroso di accompagnare gli studenti fin nel dettaglio.
Per questo motivo, il docente, nel proporre questo particolare percorso, è come se lo rifacesse daccapo, sempre partendo da come lui ha compreso i concetti specifici della disciplina in esame e cercando di chiarire (e chiarirsi) tutti quei punti che possono apparire ancora oscuri. Ciò facendo, è come se proponesse un metodo di approccio a una particolare realtà (gli oggetti della Chimica), nella consapevolezza che tale metodo è altamente specifico e come tale non può essere esteso a tutta la realtà: ogni oggetto richiede un metodo particolare per farsi conoscere [15].
Si vuole così far prendere coscienza agli studenti della natura della scienza e si vuole educare loro a riconoscere i segni (per esempio, le tracce degli apparati sperimentali), perché è proprio attraverso l’interpretazione di tali segni, utilizzando l’apparato logico- matematico sviluppato dall’uomo, che si arriva a una conoscenza della realtà. Ma questo non basta, ci vuole una passione per ciò che si studia, cioè si può conoscere solo dentro un interesse reale, quindi, è compito dello studente immedesimarsi con le ragioni proposte dal suo docente e far suo il percorso da lui proposto nel modo più approfondito possibile.
C’è bisogno di maestri
Resta da fare un’ultima considerazione partendo dalle seguenti domande: l’insegnamento di una disciplina scientifica ha a che fare solo con gli aspetti storici, filosofici e educativi connessi ai dettagli tecnici della disciplina stessa? Oppure, anche gli aspetti umani sono da considerarsi essenziali nell’insegnamento di una disciplina scientifica?
Mi piace affermare che il fattore umano è sempre centrale in qualunque serio tentativo di rinnovamento della didattica. Ogni attività educativa richiede qualche tipo di relazione umana tra docente e discente.
Sono rimasto affascinato dalle parole di Albert Einstein (1879-1955) in memoria del suo amico [16], Paul Ehrenfest (1890-1933), perché esse implicitamente rispondono alla domanda: ma che tipo di persona è un professore universitario o di scuola media superiore?
«Il nostro grande maestro, Lorentz, desideroso ormai di ritirarsi dall’insegnamento universitario ufficiale, aveva riconosciuto in Ehrenfest l’insegnante ispirato e lo raccomandò come suo successore. Una meravigliosa sfera di attività si aprì a quest’uomo ancora giovane. Egli non era solo il miglior insegnante nella nostra professione che io abbia mai conosciuto; egli era anche appassionatamente preoccupato per lo sviluppo ed il destino dell’uomo, dei suoi studenti in particolar modo. Comprendere gli altri, ottenere la loro amicizia e la loro fiducia, aiutare chiunque fosse in difficoltà esterne o interne, incoraggiare il talento dei giovani, tutto ciò rappresentava per lui l’elemento naturale, quasi più dei problemi scientifici. I suoi studenti e i suoi colleghi di Leyda lo amavano e lo stimavano. Essi conoscevano la sua profonda dedizione, la sua natura così completamente volta ad aiutare e a essere utile.».
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Raffaele P. Bonomo
(Dipartimento di Scienze Chimiche, Università degli Studi di Catania)
Questo articolo è una rielaborazione del cap 7.del libro: Raffaele P. Bonomo, Giovanni Tabbì and Alessandro Giuffrida, (2012) “A Conceptual Approach to the Teaching of Chemistry”, New York, NOVA SCIENCE PUBLISHERS, INC.
Indicazioni bibliografiche
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- Slezak, P. (1999). Does Science Teaching Need History and Philosophy of Science?. In G. Nagarjuna (Ed.), International Workshop on History of Science: Implications for Science Education (pp. 21-38). Mumbai, India: HBCSE
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- Matthews, M. R. (2003). Thomas Kuhn’s Impact on Science Education: What Lessons Can Be Learned?. Science & Education, 88, 90-118
- Matthews, M. R. (1994). Science Teaching. The Role of History and Philosophy of Science. New York, NY: Routledge
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- Popper, K. R. (1970). Normal Science and its Danger. In I. Lakatos & A. Musgrave (Eds.), Criticism and the Growth of Knowledge (pp. 51-58). London, UK: Cambridge University Press
- Giussani, L. (2010), Il senso religioso. Milano, Rizzoli Saggi.
- Einstein, A. (1950). Out of my later years. London, UK: Thames and Hudson, nella versione italiana, A. Einstein, “Pensieri degli anni difficili”, Torino, Universale Scientifica Boringhieri, 1965.
© Pubblicato sul n° 51 di Emmeciquadro