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Home » Economia e Finanza » ENI/ Se Governo e rivoluzione verde mettono a rischio il nostro asset strategico

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ENI/ Se Governo e rivoluzione verde mettono a rischio il nostro asset strategico

Paolo Annoni
Pubblicato 7 Agosto 2020
Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni (LaPresse)

Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni (LaPresse)

Eni rappresenta un asset strategico per l'Italia, ma rischia di essere compromesso anche per scelte adottate dallo stesso Governo

Ieri Bloomberg ha dato conto di un aumento anomalo delle opzioni scambiate su Eni; secondo Bloomberg, ieri pomeriggio aveva scambiato un numero di opzioni sei volte superiore alla media. Il minimo che si possa dire è che ci sia più interesse sulla società e che ci si aspetti “volatilità” nei prossimi mesi. Su questa vicenda segnaliamo tre angoli di lettura che è utile avere presente.


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Il primo è quello del “rischio geopolitico”. Il prezzo del petrolio negli ultimi giorni ha segnalato di aver recepito, in parte, un aumento dei rischi relativi alla situazione in Medio Oriente dopo la deflagrazione che ha colpito il porto di Beirut. Ufficialmente, dopo le prime ipotesi di uno scoppio di una fabbrica di fuochi d’artificio, siamo fermi all’ipotesi di un grosso deposito di materiale esplosivo, fertilizzanti, scoppiato a causa di negligenza. Prendiamo ovviamente per buona questa spiegazione, ma allo stesso modo comprendiamo perché il “mercato” si sia voluto tutelare da sorprese che per quanto improbabili sarebbero assolutamente destabilizzanti.


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Il secondo angolo è quello della Libia che per Eni è strategica e da cui l’Italia è stata sbattuta fuori prima per i noti interventi degli alleati del 2011 e poi per una serie di errori politici incredibili. Diciamo errori politici, ma potremmo aggiungere la somma di un atteggiamento privo di qualsiasi buon senso e rinunciatario della difesa degli interessi nazionali. Oltre ad alcuni “statisti italiani” per conto di altri Stati.

Il terzo è quello più preoccupante. Per un Paese normale con un Governo normale Eni sarebbe un “asset” da tutelare con tutte le forze per due ragioni. La prima per garantire l’autonomia negli approvvigionamenti energetici senza dover scendere a patti con fornitori che, ovviamente, possono imporre condizioni anche spiacevoli. La seconda perché la società è un mezzo eccezionale per stringere partnership e alleanze che sono fondamentali per la politica estera e l’economia italiana. Per un Governo e un Paese deboli Eni diventa paradossalmente un problema da gestire perché inevitabilmente comporta rischi politici e sottopone ad attacchi dei “concorrenti”. Sarà un caso, ma le ultime operazioni in un noto Paese del Mediterraneo avvengono in partnership.


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Aggiungete a questo “problema” la follia italiana e tedesca della “rivoluzione verde” che non solo è costosissima per i consumatori, ma che ammazza la competitività delle imprese per tecnologie la cui sostenibilità, sia economica che ambientale, è tutta da dimostrare. Tra i tanti temi segnaliamo che i vecchi pannelli solari, le vecchie pale eoliche e le vecchie batterie elettriche sono irriciclabili. Per noi non è un problema, perché finora sono finite in qualche sperduto Paese africano.

I Paesi seri, Stati Uniti e Cina, ma anche Francia e Gran Bretagna si guardano bene da certe “rivoluzioni” e, per esempio, si tengono stretti il nucleare. L’eolico e i pannelli solari non sono una soluzione per un Paese industriale che non voglia ammazzare consumatori e imprese con costi energetici fuori mercato. L’idrogeno forse, ma tra vent’anni. Nel frattempo e ancora per tanti, tanti anni servono gas e petrolio da usare, ovviamente, con intelligenza e attenzione con tecnologie che aiutano l’ambiente molto più di tanti innamoramenti verdi senza senso.

Un Governo che sta sperperando in assistenzialismo cifre colossali potrebbe vendere al contribuente italiano la cessione di Eni come una mossa geniale per finanziare la “rivoluzione verde”. Non rimarrebbe niente per la gioia dei nostri “concorrenti/compratori” inclusa la rivoluzione verde affidata all’amministrazione pubblica e alle burocrazie meno efficaci d’Europa.


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