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Home » Esteri » Usa » DIARIO DAGLI USA/ Una “lista” può scacciare l’incubo di Obama

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DIARIO DAGLI USA/ Una “lista” può scacciare l’incubo di Obama

Giacomo Possamai
Pubblicato 24 Ottobre 2012
Romney_Obama_debateR439

Foto Infophoto

Ci si sta avvicinando al GOTV, gli ultimi quattro giorni prima dell'election day. I candidati sono alle prese con gli  "unlikely voters" e i  "likely voters". Il commento di GIACOMO POSSAMAI

La battaglia è entrata nella sua fase più calda: degli ultimi tre sondaggi nazionali, due vedono davanti Romney e uno Obama. In realtà, per il sistema di voto statunitense il dato nazionale non è importante, ma è indicativo del testa a testa feroce che ci aspetta nelle ultime due settimane. Axelrod, lo “stratega” di Obama, e Messina, il suo campaign manager, l’hanno ripetuto anche dopo l’ultimo dibattito televisivo: a noi va benissimo essere sostanzialmente pari a questo punto, perché Romney non ha la forza né i militanti sul territorio per sostenere un corpo a corpo. Se sia vero, o sia solo pretattica, lo vedremo.


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Oggi è iniziato ufficialmente l’avvicinamento all’ormai mitico GOTV, ossia la fase degli ultimi quattro giorni prima dell’election day. L’obiettivo di quei giorni sarà semplice in teoria, ma complicato nei fatti: tramite le telefonate, ma ancor più andandoli a trovare a casa, si devono convincere gli elettori a recarsi alle urne. Ma perché tutta questa attenzione nel fronte democratico sull’affluenza? La risposta è semplice, anche se in pubblico non viene ammessa: Romney è avanti tra i “likely voters” (quelli che probabilmente voteranno), ma indietro tra gli “unlikely voters” (quelli che non sanno se andranno).


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Ma chi sono questi unlikely voters? Tendenzialmente le minoranze, ossia latini e afroamericani. Quindi, in larghissima misura, potenziali votanti obamiani. In particolare tra le fasce di reddito più basso della popolazione. Si calcola che con canvassing e telefonate sia possibile alzare l’affluenza del 5%: un risultato in grado di sovvertire l’esito delle elezioni. Anche perché qui nessuno ha ancora assorbito il colpo dei 537 voti in Florida che consentirono a Bush di battere Gore nel 2000: lo ripetono a ogni piè sospinto e lo scrivono anche nei volantini.

Per cui nulla va lasciato al caso e tutto viene inserito in un enorme database (votebuilder.com): tutte le informazioni, raccolte nei giorni precedenti con il door to door e con le telefonate, vengono registrate e analizzate. Una casa è inaccessibile perché ha i campanelli interni? L’elettore si è trasferito e non abita più dove si era registrato? La persona che ha aperto la porta è di origine latina? Tutto viene annotato e segnato: nei primi due casi per evitare un giro inutile in una casa non raggiungibile o disabitata il giorno delle elezioni, nel secondo perché verrà inviato a parlare con la persona indicata un altro ispanico. L’obiettivo è arrivare al 3 novembre, primo giorno del GOTV, con una macchina perfetta: da lì in poi non saranno più ammessi errori.


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Per cui la giornata di oggi è stata in gran parte dedicata all’inserimento dei dati e al lavoro sui risultati che ne sono emersi. Ma c’è stato anche il tempo per un banchetto, verso sera, sempre nella zona della Temple University. Durante il tempo trascorso lì, si è avvicinato un ragazzo di colore, molto simpatico, ma un po’ estremista. Ci spiega che lui non voterà mai più, perché le elezioni non contano nulla, tanto decide tutto la Federal Reserve (dove l’ho già sentita questa?) e una lunga serie di altre teorie molto più campate in aria di questa.

La domanda però ci scappa: e chi hai votato nel 2008? “Obama” risponde “perché era nero come me e ci aveva dato una speranza”. Nella sua risposta sta la chiave per vincere o perdere le elezioni, tra due settimane: Obama ha dato una speranza a un popolo, promettendogli un cambiamento. E in parte, al netto delle critiche, l’ha anche iniziato: la riforma della sanità, per quanto zoppa, è una rivoluzione culturale per gli standard locali. La nuova organizzazione della scuola pubblica sta dando i suoi frutti ed è stato un altro provvedimento importante per le fasce meno abbienti della popolazione americana. Ma non basta, Obama per vincere deve portare alle urne tutto il suo popolo, quello che ha visto in lui per la prima volta l’occasione del riscatto. Ma per riuscirci deve riuscire a riaccendere quella luce che finora non è ancora riuscito ad accendere: il “change”, la speranza di un’America diversa, in cui non ci sia più un Girard College a dividere i bianchi dai neri.


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