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Home » Esteri » AL QAEDA/ Swift (Georgetown University) saranno 30 giorni di paura

  • Esteri

AL QAEDA/ Swift (Georgetown University) saranno 30 giorni di paura

Int. Christopher Swift
Pubblicato 7 Agosto 2013
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Al Qaeda

Per CHRISTOPHER SWIFT, l’allarme terrorismo riguarda nello specifico gli attentati di Al Qaeda nello Yemen, mentre è difficile dire se dei gruppuscoli locali cercheranno di colpire altrove

“L’allarme terrorismo riguarda nello specifico gli attentati di Al Qaeda nello Yemen, mentre è difficile dire se dei gruppuscoli locali cercheranno di colpire altri obiettivi in Medio Oriente o in Europa”. Lo afferma Christopher Swift, professore di Sicurezza nazionale alla Georgetown University e uno tra i maggiori esperti americani di terrorismo internazionale. “Il leader di Al Qaeda, Ayman Al Zawairi, punta a dimostrare di essere ancora in grado di giocare un ruolo globale – sottolinea Swift -, e anche per questa ragione punta a colpire degli obiettivi occidentali”. Anche l’Italia ha chiuso al pubblico la sua ambasciata nello Yemen, e il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha sottolineato come “le minacce di una ripresa terroristica sono consistenti. Noi stessi abbiamo rivolto un appello alla cautela a migliaia di turisti in questi Paesi e ridotto al massimo l’operatività di alcune ambasciate”.


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Professor Swift, fino a che punto le minacce di attacchi terroristici sono reali?

L’allerta terrorismo riguarda due ambiti distinti tra loro. Da un lato ci sono le minacce contro le ambasciate Usa e altri obiettivi occidentali nello Yemen, che provengono dall’organizzazione di Al Qaeda nella Penisola arabica. E’ il motivo per cui francesi, britannici e americani hanno non soltanto chiuso ma in alcuni casi addirittura evacuata la loro ambasciata nella capitale Sana’a. Dall’altra ci sono le minacce più generiche da parte dei vari gruppi affiliati ad Al Qaeda e di altre organizzazioni terroristiche presenti in Medio Oriente.


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Anche queste minacce vanno prese ugualmente sul serio?

In questo caso si tratta di realtà che non sono molto ben coordinate tra loro, perché mirano a obiettivi molto locali. L’intelligence Usa ha intercettato delle comunicazioni da cui risulta che alcuni di questi gruppi vorrebbero coordinare le loro attività con quelle di Al Qaeda nello Yemen. La minaccia riguarda quindi due livelli, il primo dei quali, relativo allo Yemen, è molto credibile e specifico, mentre il secondo, negli altri Paesi del Medio Oriente, è più generico e difficile da determinare nella sua reale portata.

Perché Al Qaeda e i gruppi affiliati vorrebbero attaccare proprio nello Yemen?


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Nella Penisola arabica è trascorso più di un anno da quando Al Qaeda ha organizzato una grande operazione terroristica. L’evento di più vasta portata è stato l’attacco-bomba contro una parata militare nella capitale dello Yemen, Sana’a, che ha ucciso oltre cento giovani soldati. Da allora l’Esercito yemenita è riuscito a scacciare Al Qaeda dalle sue roccaforti nelle province di Abyan e Shabwah, disperdendo i guerriglieri nelle montagne e nel deserto. Ora al Qaeda punta a ottenere una rivincita.

 

Che cosa punta invece a ottenere al Qaeda a livello internazionale?

Tra i motivi per cui esistono dei rischi credibili e specifici di un attentato terroristico nello Yemen c’è il fatto che il leader di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, desidera dimostrare che sta ancora giocando un ruolo globale. Anche per questa ragione punta a colpire degli obiettivi occidentali nella capitale Sana’a. Ma c’è anche un’ulteriore motivazione, e cioè che il presidente yemenita, Abd Rabbuh Mansur Hadi, lo scorso primo agosto si è recato a Washington per incontrarsi con Barack Obama. Le relazioni tra Usa e Yemen di recente hanno assunto una rilevanza che non avevano in precedenza.

 

Qualora decidesse di passare alla fase operativa Al Qaeda sceglierà una data-simbolo?

E’ molto probabile. Occorre tenere conto del fatto che ci troviamo nel mese sacro del Ramadan e che ci avviciniamo al primo anniversario dell’attentato contro l’ambasciata Usa di Bengasi, nonché al 25esimo anniversario dell’attacco di Al Qaeda contro le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania. L’insieme di questi elementi permette di comprendere perché l’organizzazione terroristica potrebbe vedere questo mese come un momento privilegiato per colpire.

 

Secondo alcuni quotidiani italiani, Londra si starebbe trasformando nella capitale finanziaria del terrorismo globale. E’ davvero così?

Da questo punto di vista Londra non lo è di più di Parigi, Berlino, Istanbul o Mosca. La capitale britannica ha una tradizione, sia sociale sia legale, che la rende particolarmente tollerante anche nei confronti delle posizioni più polemiche o provocatorie. Per le persone con le idee più radicali è quindi più facile fondare delle organizzazioni a Londra, e quindi il fermento ideologico della City è più forte che altrove.

 

Perché quindi afferma che Londra non sosterrebbe i terroristi più di Parigi e Berlino?

Perché occorre attuare una sottile distinzione tra quanto le persone dicono e quanto fanno. Se guardiamo a chi realmente sta ingrossando le file dei jihadisti in Siria, anche le altre capitali europee non sono da meno. Il reclutamento e il finanziamento della guerra santa e la copertura offerta da parte delle comunità immigrate nei confronti di piccoli gruppi estremisti vede in prima linea non solo Londra ma anche numerose altre città del Vecchio Continente.

 

(Pietro Vernizzi)


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