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Home » Esteri » Usa » SIRIA/ Micalessin: la presa di Raqqa dipende da Assad e Putin, non dagli Usa

  • Usa
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SIRIA/ Micalessin: la presa di Raqqa dipende da Assad e Putin, non dagli Usa

Int. Gian Micalessin
Pubblicato 28 Maggio 2016
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Inphofoto

Chi ha la possibilità di liberare Raqqa è il governo di Bashar Assad supportato dalla Russia. Mentre è più complicata una liberazione per mano dei curdi. Lo spiega GIAN MICALESSIN

Corsa contro il tempo tra Stati Uniti e Russia per arrivare primi a Raqqa e liberare la città al cuore del califfato. Gli americani stanno appoggiando con i raid aerei l’offensiva di terra dei curdi. Come spiega però Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, i curdi non sono arabi e sono malvisti dalle tribù siriane che vivono a Raqqa. Il rischio è che i capitribù, pur di non essere assoggettati ai curdi, finiscano loro malgrado per appoggiare l’Isis consentendo ad Al-Baghdadi di mantenere il controllo della città. Nel frattempo l’esercito di Assad, appoggiato dai raid della Russia, dopo avere conquistato Palmira sta cercando di liberare Deir-El-Zor dall’assedio dell’Isis. Quest’ultima è una città a sud-est di Raqqa, completamente accerchiata, che resiste grazie al lancio di viveri dal cielo. Il piano di Putin e Assad è liberare Deir-El-Zor per poi muoversi da qui verso il cuore politico e strategico del califfato, Raqqa.


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La scelta degli Usa di puntare proprio ora su Raqqa arriva per motivi militari o politici?

L’obiettivo della coalizione guidata dagli Usa è anticipare i russi. Mosca appoggia l’offensiva dell’esercito siriano, che si muove verso Deir-El-Zor per poi procedere verso Raqqa. Il grosso problema degli americani è però che operano insieme ai curdi, e quindi collaborano con una popolazione che potrebbe essere invisa alle tribù arabe che abitano a Raqqa.


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Quali possono essere le conseguenze?

Pur non essendo favorevoli allo stato islamico, le tribù della zona potrebbero scegliere di aiutare il califfato allo scopo di non avvantaggiare i curdi. Gli Usa devono quindi riuscire a creare una coalizione di gruppi arabi che siano in grado di avanzare verso Raqqa. Pur trovandosi a 30 chilometri dalla capitale del califfato, gli Usa hanno già detto che comunque non punteranno all’occupazione della città bensì soltanto alla zona a nord di quest’ultima. Siamo quindi più in una fase di annunci che di vera pre-offensiva.

Quanto può resistere l’Isis a questa pressione congiunta di Stati Uniti e Russia?


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L’offensiva congiunta sta producendo i suoi frutti. Da un lato l’Isis può resistere ai bombardamenti, in quanto questi ultimi non sono determinanti fino a che manca un’operazione di terra. Dall’altra quello che invece può mettere in difficoltà il califfato è la chiusura delle linee logistiche che collegano Raqqa a Mosul. Se curdi e siriani riescono in questa operazione, a quel punto la situazione per il califfato potrebbe diventare critica. Per il momento l’Isis è ancora attivo e dimostra anche di saper reagire, come è avvenuto sia nella zona intorno ad Aleppo sia contro i curdi.

Dopo la liberazione, Raqqa sarà inserita nella zona controllata dai curdi. Come valuta questa scelta?

E’ difficile che questo avvenga, perché la maggioranza della popolazione di Raqqa è araba. Gli stessi curdi dicono di non volere la città. Quest’ultima inoltre è strategica dal punto di vista simbolico per ufficializzare la sconfitta dell’Isis. Ma dal punto di vista economico e politico è un “buco” nel deserto.

L’Onu ha detto che a Raqqa si rischia un’emergenza umanitaria. E’ così?

A Raqqa c’è già un’emergenza umanitaria da quando è arrivato l’Isis. Numerosi abitanti della città per fortuna sono già riusciti a fuggire, e d’altra parte ritengo che molti siriani sarebbero disposti ad affrontare un’emergenza umanitaria pur di vedersi liberati dall’Isis.

 

Com’è in questo momento la situazione sul terreno?

Ci troviamo in un momento di stasi. Dopo avere riconquistato Palmira, Assad e Putin puntano su Deir-El-Zor ma in questo quadrante hanno un po’ perso smalto. Deir-El-Zor è in parte circondata dall’Isis, e si trova priva di linee di comunicazione terrestri. La città è però ancora controllata dai governativi che sono riusciti a tenere aperto l’aeroporto. La prossima mossa di Assad si concentra lì.

 

Che cosa accadrà se la mossa gli riesce?

Da Deir-El-Zor potrebbe partire la controffensiva governativa su Raqqa. Se qualcuno ha realmente la possibilità di liberare Raqqa, è piuttosto il governo di Bashar Assad supportato dalla Russia. Da un punto di vista politico, trovo più complicata una liberazione per mano dei curdi.

 

Nel frattempo si stanno facendo dei passi in avanti anche per quanto riguarda il processo politico?

In parte sì. In Siria sono in atto le cosiddette “operazioni di riconciliazione” con i gruppi dell’Esercito Siriano Libero, che nella zona circostante Damasco hanno abbandonato la lotta. Di fatto il governo ha consentito loro la presenza armata nelle zone che controllavano, ma nel frattempo hanno accettato un accordo con l’esercito di Assad e hanno rotto i rapporti con Al-Nusra e l’Isis.

 

La popolazione ne ha beneficiato?

Sì. In alcune di queste zone il regime ha permesso agli studenti di affluire nelle aree controllate dal governo per svolgere gli esami scolastici. Questo esperimento come è ovvio non è riuscito uniformemente in tutto il Paese. La stessa riconciliazione è un’operazione complessa, ma per esempio a Homs è riuscita abbastanza bene.

 

C’è qualcuno che rema contro?

Da questo punto di vista si fa sentire l’influenza di Turchia e Arabia Saudita, che rifornendo di soldi e armi sia i gruppi jihadisti sia quelli più moderati, li hanno convinti a continuare combattere insieme contro Assad. E questo perché si erano accorti che l’offensiva russa li stava mettendo completamente fuorigioco.

 

(Pietro Vernizzi)


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