Quanto avvenuto oggi a livello mondiale, con la protesta messa in scena dai dipendenti di Google contro lo scandalo delle molestie sessuali sul posto di lavoro è esemplare. Sono stati in centinaia a prender parte questo giovedì alla protesta dopo la rabbia esplosa la scorsa settimana, quando anche il CEO della società Sundar Pichai ha confermato le indiscrezioni pubblicate sul NYT. Tra coloro che sarebbero stati licenziati o fatti dimettere in seguito alle accuse di molestie sessuali in Google, spunterebbe anche il nome di Andy Rubin. Non uno qualunque, dal momento che l’uomo è considerato “il padre di Android”, accusato di aver costretto una dipendente a consumare sesso orale nel 2013 e poi allontanato con una buonuscita da 90 milioni di dollari (circa 80 milioni di euro). Solo lo scorso martedì si era dimesso un altro importante dirigente, Richard DeVaul. L’uomo, secondo quanto riportato da Il Post nella sua edizione online, è accusato di aver fatto proposte indiscrete ad una donna che precedentemente aveva fatto un colloquio per lavorare con lui. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
GOOGLEWALKOUT, SCRIVANIE VUOTE DALLE 11
Centinaia di dipendenti di Google, oggi 1 novembre hanno dato vita ad una clamorosa protesta contro i numerosi e presunti casi di molestie all’interno dell’azienda. A parlarne era stato il New York Times in un articolo, poi confermato anche da Sundar Pichai, Ceo della società lo scorso 26 ottobre. A sua detta, sarebbero stati 48 (tra cui 13 alti dirigenti) coloro che sono stati raggiunti da licenziamenti o accuse di molestie sessuali e condotte inappropriate mentre si trovavano nel proprio ufficio di Google. Oggi, dunque, i dipendenti di oltre 20 sedi Google in tutto il mondo, come riporta Il Post, avrebbero preso parte alla protesta in atto. Tutti avevano un orario ben preciso: dalle ore 11.10 – a seconda del proprio fuso orario – i dipendenti di molte sedi tra cui Zurigo, Londra, Tokyo, Singapore, Berlino e New York – hanno abbandonato la propria scrivania. Su di essa campeggiava un messaggio: “Non sono alla scrivania perché sto uscendo con altri dipendenti e collaboratori di Google per protestare contro le molestie sessuali, i comportamenti inappropriati, la mancanza di trasparenza e una cultura del lavoro che non funziona per tutti”. La protesta è stata mostrata in tempo reale grazie agli account Twitter e Instagram appositamente creati in vista dell’iniziativa mondiale. I manifestanti hanno così postato video e immagini per raccontare i momenti salienti della giornata.
PROTESTA DIPENDENTI GOOGLE: LE RICHIESTE
Oltre a protestare contro le molestie sul luogo di lavoro, i dipendenti Google hanno anche fatto sentire la propria voce per un’altra ragione. Rivolgendosi ai dirigenti dell’azienda, infatti, hanno chiesto di fermare la disuguaglianza di stipendio e opportunità di carriera. Tra le loro richieste anche la pubblicazione di un rapporto sulle molestie in azienda, l’introduzione di un processo che permetta di denunciare tutti gli abusi in modo sicuro per le vittime e l’eliminazione dell’arbitrato forzato nei casi di molestie e discriminazioni agli impiegati attuali e futuri. Sundar Pichai ha fatto sapere oggi la sua vicinanza a coloro che hanno partecipato alla protesta con una mail inviata agli stessi lavoratori dell’azienda: “Capisco la rabbia e la delusione che in molti starete provando. Le sento anche io, e sono pienamente deciso a migliorare una situazione che è andata avanti troppo a lungo nella nostra società e anche qui a Google”.