Patria del suicidio assistito, la Svizzera si trova adesso ad affrontare le estreme conseguenze della scelta di permettere di morire. Nella confederazione elvetica, dove si reca gente da tutto il mondo e come ben sappiamo anche dalla vicina Italia, il suicidio assistito è negato per un solo motivo: ragioni “egoistiche”. Cioè se uno chiede di essere ucciso semplicemente perché stanco o stufo di vivere, ma non è un malato terminale o soffre di dolori fisici considerati insostenibili. Viene accettata anche la malattia mentale qualora risulti portatrice di “sofferenza insostenibile”. Il che non è molto facile, se non impossibile, da quantificare. Ecco allora che un detenuto, condannato nel 1996 all’ergastolo per numerosi casi di violenze sessuali su bambine di 10 anni fino a donne di 56, ha chiesto di essere ammesso al suicidio assistito. “E’ una cosa naturale chiedere di suicidarsi piuttosto che essere sepolto vivo per il resto della vita, meglio essere morto che lasciato a vegetare dietro le mura” ha detto nella sua richiesta. Il che non fa una grinza, seguendo la logica della legge attuale. Richiesta che l’apposita commissione che permette o meno il suicidio assistito composta da due medici (entrambi devono dare l’ok) ha detto di non essere in grado di valutare perché dubbiosi si tratti di richiesta “egoistica”.
EUTANASIA SENZA LIMITI?
Ovvio: nel momento in cui ammetti il suicidio per chi è malato, perché no per una persona condannata all’ergastolo? Se nel primo caso la vita diventa “una sofferenza insopportabile” lo è anche essere rinchiusi in prigione fino alla morte. La legge si ritorce contro se stessa: il suicidio assistito dimostra di essere soltanto un modo di eliminare una realtà inconfutabile, la vita, solo perché non si è in grado di gestirla. Non perché non sia possibile farlo. Certo, l’ergastolo è una pena comparabile a quella di morte, perché non permette la possibilità di riscatto, di rifarsi una vita a chi è sinceramente pentito (di fatto papa Francesco si è detto contro l’ergastolo non a caso), ma in ogni caso c’è la possibilità di rifarsi una vita anche dietro le sbarre. Il detenuto, Peter Vogt, spera di morire in occasione del suo compleanno, il prossimo 13 agosto, se la sua richiesta sarà accettata. Possiamo solo immaginarci quanti detenuti scomodi, in possesso di informazioni o verità su fatti criminali, verranno fatti fuori se la legge cambierà. Le autorità svizzere sono già preoccupate del fatto che, essendo la popolazione detenuta in carcere parecchio invecchiata, ci sarà un boom di richieste.