Molti palestinesi non sono fuggiti da Gaza e sono potenziali vittime dell’attacco dell’IDF. Egitto e Israele ai ferri corti: Il Cairo schiera l’esercito

Sei miliardi di aiuti per Israele: è il piano che il presidente USA Donald Trump avrebbe chiesto al Congresso per sostenere lo sforzo bellico dello storico alleato. Segno che le prospettive sono ancora quelle di bombardare a Gaza e non solo.

L’invasione della città da parte dell’IDF rischia di diventare una catastrofe peggiore di quella che si è già materializzata finora. Ci sarebbero centinaia di migliaia di palestinesi intrappolati, che non sono riusciti a fuggire, possibili vittime sacrificali di un attacco che le forze armate israeliane annunciano come il più duro di sempre.



Intanto, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, sono sempre più tesi i rapporti anche fra Israele ed Egitto. Il Cairo ha schierato i suoi soldati al confine con la Striscia perché non vuole accogliere gli sfollati palestinesi e si è attrezzato militarmente per fermarli. Gli israeliani avrebbero anche cercato di colpire i vertici di Hamas al Cairo. Un’operazione sventata dagli egiziani che ha complicato ancora di più le relazioni tra i due Paesi.



Trump ha chiesto al Congresso 6 miliardi per Israele: la guerra non finirà tanto presto?

No, assolutamente. Gli israeliani sono a metà dell’opera e ormai è chiaro dove vogliono andare a parare. L’obiettivo è trasformare Gaza in una proprietà immobiliare da spartirsi con gli Stati Uniti. Non solo c’è un progetto scritto, realizzato da esperti, ma la conferma della realtà sul terreno: perché mandare bulldozer a distruggere gli edifici se il piano non fosse quello? E poi c’è un ministro come Smotrich che ha detto chiaro e tondo cosa si vuole fare. L’IDF è usata come una sorta di impresa per demolizioni. L’unica cosa che rimane da capire è dove andranno i palestinesi.



Le alternative quali sono?

Rinchiuderli in una enclave ancora più piccola o deportarli, aprendo la strada a un’operazione simile anche in Cisgiordania.

L’IDF annuncia che a Gaza userà una forza mai impiegata prima, ma intanto, nonostante 500mila palestinesi in fuga, ce ne sarebbero molti altri (secondo alcuni analisti 800mila) intrappolati nella città, che non riescono o non possono fuggire. L’invasione della città finirà con un massacro senza precedenti?

Credo che gli israeliani lo abbiano messo in conto. D’altra parte si è già alla soglia dei 70mila morti, c’è un genocidio certificato da diversi enti, una fame dichiarata ufficialmente e nonostante tutto questo Trump mette altri 6 miliardi per portare avanti l’opera. Ormai anche numeri così pesanti non riescono a suscitare nessuna iniziativa che a livello pratico costringa veramente Israele a fermarsi. E allora che differenza fa se le persone decedute sono 60mila o 500mila? Anche il riconoscimento della Palestina, in realtà, riguarda uno Stato che non esiste.

Ora è stato imposto che gli aiuti passino comunque da Israele: una prova che ormai tutto deve essere sotto il controllo di Tel Aviv?

A dir la verità di fatto era così anche prima, da quando Israele ha messo sotto controllo il valico di Rafah con l’Egitto. Non c’è niente che passi se non viene approvato da Israele: per un divieto basta che le pedane siano fatte di metallo e non di legno o che ci siano dei datteri, che non passano perché considerati beni di lusso.

La settimana prossima l’Assemblea dell’ONU dovrebbe dibattere il tema dello Stato di Palestina. Israele potrebbe anticipare il dibattito decidendo l’annessione della Cisgiordania?

È molto probabile, perché sarebbe mettere la pietra tombale su qualsiasi prospettiva di Stato palestinese. Se succederà, Israele avrà avuto l’appoggio degli Stati Uniti. Nella West Bank, d’altra parte, si stanno muovendo come al solito: piena impunità ai coloni, il progetto di un mega insediamento che frammenta ulteriormente il territorio e che è “il chiodo nella bara”, come l’hanno definito anche Smotrich e Ben-Gvir, per la prospettiva di uno Stato palestinese.

Le trattative con la Siria, invece, come stanno andando: i due Paesi sono vicini a un accordo?

Forze israeliane durante le operazioni a Gaza (Ansa)

C’è stata una visita a Damasco di esponenti della comunità ebraica, guidati dal rabbino Asher Lopatin, accolti da rappresentanti del ministero degli Esteri siriano. Non credo, comunque, che Israele rinuncerà ai territori che si è già presa nel sud della Siria: il regime di Al Sharaa non ha la forza di opporsi.

Ha invece tutto l’interesse a far fluire finanziamenti e consolidare il suo governo: ha bisogno di guadagnare credibilità, di un riconoscimento da parte dell’Occidente, e questo può avvenire soltanto con una normalizzazione dei rapporti con Israele. Nel vertice dei Paesi arabi e islamici di Doha, tra l’altro, quello di Al Sharaa è stato il discorso più breve: è paradossale che un jihadista come lui sia quello più disposto a venire a patti con Tel Aviv.

Anche il sud del Libano resta nel mirino di Israele?

A sentire la destra israeliana, nel Grande Israele non sono inclusi solo il sud del Libano e il sud della Siria, ma anche una parte della Giordania, dell’Arabia Saudita e il Sinai. La destra israeliana cerca sempre di allargarsi: ripete spesso che il loro è un Paese piccolo, limitato dal punto di vista geografico.

L’Egitto, intanto, sarebbe sul punto di firmare un accordo sul gas con Israele da 35 miliardi di dollari, ma ha ripetuto anche all’inviato di Trump Steve Witkoff che non vuole sfollati da Gaza, mentre gli israeliani da parte loro dicono che decine di droni avrebbero trasportato armi presumibilmente per Hamas. Un altro fronte che può aprirsi?

I rapporti tra Egitto e Israele si sono raffreddati, sono in una fase molto critica. Al Sisi a Doha per la prima volta ha indicato Israele come il nemico, un’espressione mai utilizzata da un presidente egiziano dalla firma degli accordi di pace negli anni 70. La posizione dell’Egitto è abbastanza ferma, ribadita in tutte le salse: non accetterà lo sfollamento dei palestinesi. È una linea rossa.

Come si sta attrezzando Il Cairo per evitare lo sconfinamento dei profughi?

Ha spostato 40mila soldati nel Sinai e ha dispiegato un sistema di contraerea cinese di ultima generazione in grado di intercettare gli aerei più avanzati dell’aeronautica israeliana. Sono state organizzate anche manovre marittime congiunte con la Turchia, per la prima volta da 13 anni. Una volta Egitto e Turchia erano Paesi nemici, ora sono molto amici, anche tenendo conto di quello che ormai è considerato l’elemento destabilizzatore dell’area: Israele. Tra l’altro l’accordo israelo-egiziano sul gas pare sia stato sospeso proprio per decisione di Netanyahu.

Al Sisi e Netanyahu sono veramente ai ferri corti?

Secondo le notizie pubblicate su alcuni mezzi di informazione, Israele stava pianificando di attaccare i vertici di Hamas mentre erano al Cairo per i negoziati. Gli egiziani lo avrebbero scoperto in anticipo facendo sapere agli USA e a Israele che qualsiasi attacco sul loro suolo avrebbe avuto una risposta con la forza.

L’Egitto è comunque pronto a reagire anche militarmente a un eventuale sfollamento dei palestinesi?

Credo proprio di sì, i preparativi sul terreno vanno sicuramente in quella direzione. In ogni caso, la questione di droni o armi per Hamas dall’Egitto è destituito di fondamento e senza prove, sembrano più che altro (pericolosissime) provocazioni da parte di Israele.

(Paolo Rossetti)

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