Ben Gvir sfida l’Europa e Netanyahu vuole annettere la Cisgiordania: l’Occidente non lo ferma e Israele continua sulla strada che porta all’isolamento
Ben-Gvir parla di terrore in Europa riferendosi ai governi che hanno riconosciuto lo stato palestinese, Trump ammette che la guerra danneggia l’immagine di Israele. Il governo Netanyahu, però, continua ad andare per la sua strada.
Anzi, sta prendendo in considerazione l’idea di annettere la Cisgiordania, proprio come risposta ai Paesi che riconoscono lo stato palestinese. E non ascolta neanche l’IDF che mette in guardia dai pericoli di una nuova massiccia operazione militare a Gaza.
I soldati, osserva Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, sanno bene che rischiano di essere bersaglio della guerriglia di Hamas, ma queste considerazioni non vengono tenute in gran conto dall’esecutivo. Di fatto Netanyahu e la destra nazionalista che lo sostiene continuano a realizzare i loro piani senza che nessuno, se non a parole, li metta in difficoltà.
Israele, però, non gode di buona reputazione nemmeno tra i giovani MAGA americani e a lungo andare inimicarsi l’Occidente (e anche gli USA) potrebbe danneggiare considerevolmente il Paese.
Itamar Ben-Gvir ammonisce l’Europa che riconosce lo stato palestinese: “Proverà il terrorismo in prima persona”. E per Trump la guerra danneggia Israele agli occhi dell’opinione pubblica. Tel Aviv pagherà il suo isolamento?
È difficile commentare le dichiarazioni di Ben-Gvir, il più esaltato del governo israeliano: sono provocazioni di cattivo gusto. Trump ha detto che se continua così, Israele perderà la guerra delle pubbliche relazioni e mai quanto oggi la lobby israeliana ha poca presa sul Congresso. Anche tra i giovani MAGA Israele non sta avendo nessuna popolarità. La generazione che sta vedendo queste cose è quella dei leader di domani, repubblicani o democratici che siano. E se Tel Aviv perderà il sostegno militare ed economico americano non so quanto potrà sopravvivere.
Il governo israeliano sta discutendo dell’annessione della Cisgiordania. Secondo Axios è una sorta di ritorsione per la decisione di alcuni Paesi occidentali di riconoscere lo stato della Palestina. Stavolta si prenderanno davvero i territori dei palestinesi?
Francamente mi sorprende che il discorso sull’annessione totale non sia uscito prima. Evidentemente in questa situazione post-7 Ottobre, con la guerra a Gaza e un probabile riconoscimento della Palestina all’Assemblea ONU, il governo israeliano ha ritenuto che questo fosse il momento più opportuno. Si sente legittimato come risarcimento per il 7 Ottobre e spalleggiato perché nei fatti Stati Uniti e Occidente non stanno facendo nulla di concreto per fermare Israele nella Striscia. Internamente la forza dell’estrema destra si fa sentire e non manca l’appoggio popolare. Tutto questo spiana la strada, soprattutto ai coloni, per avanzare queste rivendicazioni.
Ma cosa vogliono fare gli israeliani, prendersi la parte che hanno già occupato senza che nessuno si opponesse o annettere la West Bank per intero?
Credo sia destinata a diventare un’annessione totale, anche se al momento dovesse essere parziale. Questo territorio fa parte di quell’Israele storico che ideologicamente il sionismo ha sempre rivendicato. Si tratterebbe di ufficializzare qualcosa che, esclusa la parentesi degli Accordi di Oslo, era destinato comunque a far parte di Israele. Gli Accordi di Oslo, d’altra parte, non dico che siano carta straccia, ma quasi.
Che conseguenze avrebbe una decisione del genere?
Ci sarebbe una levata di scudi a parole, ma nei fatti non succederà niente: questa è la realtà sul terreno da anni. Ci saranno i soliti proclami di condanna, di indignazione, ma concretamente non si farà nulla: non ci si è mossi per Gaza che viene distrutta, la cui popolazione viene affamata, figuriamoci se accadrà per la Cisgiordania. Potrebbero esserci reazioni più forti se si cominciasse a prospettare intenzioni simili a quelle di Gaza, ovvero la deportazione forzata della popolazione. In tal caso i palestinesi verrebbero spinti ad andare in Giordania o da qualche altra parte.
Times of Israel riporta una statistica secondo la quale per la prima volta i ragazzi che vanno nelle scuole religiose sono più numerosi di quelli che frequentano le scuole laiche. Un segno dei tempi, che spiega dove sta andando Israele?
Nella società israeliana c’è una svolta verso posizioni più identitarie, estreme. È un risultato del 7 Ottobre, combinato con la presenza di un governo in cui gli estremisti hanno portafogli importanti: la sicurezza nazionale, il controllo delle prigioni, la politica sulle colonie. L’attacco di Hamas è stato uno shock enorme, paragonato quasi alla riedizione di un tentativo di Shoah, oltre che un fallimento da parte dello Stato, dell’esercito. Nonostante le manifestazioni molto partecipate la maggioranza in Israele è su posizioni simili a quelle del governo ed è questo che legittima Netanyahu ad andare avanti malgrado le pressioni internazionali. Ci sono persone che avevano posizioni più pacifiste e che hanno avuto parenti o figli uccisi il 7 Ottobre, tutto questo li ha portati irrimediabilmente a riconsiderare il loro approccio.
In una burrascosa riunione del governo Netanyahu alcuni ministri si sono scontrati con il capo di stato maggiore Eyal Zamir che proponeva di accettare un accordo per liberare gli ostaggi. L’IDF ha espresso perplessità anche sull’operazione che punta a occupare Gaza.
Quella dell’esercito è una paura perfettamente comprensibile: si stanno ficcando, chissà per quanto tempo, in una situazione di guerriglia urbana in un territorio pieno di detriti, con una rete di tunnel che non è ancora stata smantellata, in cui i miliziani di Hamas trovano ancora rifugio, con il rischio di vedere attaccate le truppe e i soldati che vengono inviati ad aiutare i militari presi di mira. L’esercito sa molto bene che questo non porterà al rilascio degli ostaggi, semmai potrebbe portare alla loro eliminazione totale, per errore da parte di Israele durante un bombardamento o da parte di Hamas messa alle strette.
È tornata in auge l’idea di Trump di trasformare Gaza in una Riviera, con 5mila dollari dati ai palestinesi che decidono di andarsene. Un’ipotesi che sembrava accantonata, ma che invece ha possibilità concrete di essere realizzata?
Un’ idea tanto pazza, dal punto di vista di chi l’ha pensata, evidentemente non lo è: ci sono stati addirittura dei ricercatori che si sono messi a elaborare un piano. D’altra parte, al futuro di Gaza bisogna pensarci, si pone la questione se debba essere ricostruita per i palestinesi o per realizzarci un resort. La cifra fissata per chi se ne andrà la dice lunga sul valore che viene dato a un palestinese. Cosa ci fanno con 5mila dollari? Trump, però, in fin dei conti è un immobiliarista, il business lo ha nel sangue. Secondo il New York Times con le attività legate alla presidenza il giro d’affari della sua famiglia sarebbe cresciuto di 4,5 miliardi.
Resta il problema dei Paesi confinanti: come reagiranno allo svuotamento di Gaza?
Non hanno nessuna intenzione di prendersi i palestinesi. L’Egitto ne sta addestrando 10mila come forza di sicurezza a Gaza, ovvero: “Noi ci prepariamo alla permanenza dei palestinesi”. Certo, anche in questo caso, fino a che nessuno la contrasterà veramente, questa proposta continuerà a venir presa in considerazione.
(Paolo Rossetti)
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