USA e Israele pronti alla tregua per Gaza. Netanyahu asseconda Trump. Ma ciò che li preoccupa è ancora l’Iran con il suo programma nucleare
Trump vuole il Nobel per la pace e Netanyahu lo asseconda accettando una tregua di 60 giorni a Gaza. Ma la realtà è che non c’è ancora la volontà di chiudere il conflitto. E poi bisogna vedere come la pensa Hamas. Nel governo israeliano Ben-Gvir e Smotrich, rappresentanti della destra religiosa e ultranazionalista, si stanno già opponendo e comunque anche il premier ha bisogno di tenere un fronte di guerra aperto per ricompattare il Paese intorno a sé.
Anzi, nel viaggio che Netanyahu farà nei prossimi giorni negli USA, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, il cessate il fuoco non sarà neanche il solo argomento di discussione con Trump. Probabilmente si parlerà delle reali conseguenze dell’attacco statunitense ai siti nucleari dell’Iran.
Trump ha annunciato che Israele accetta la tregua di 60 giorni proposta dagli USA per Gaza. Come mai esercita pressioni così forti per il cessate il fuoco?
L’aspirazione di Trump è sempre stata quella di ricevere il Nobel per la pace. Se l’è presa perché non lo prendono in considerazione, anche se dal suo punto di vista ha fatto di tutto per ottenerlo già nel primo mandato. Dal punto di vista del presidente USA anche l’intervento in Iran è servito a riportare la pace. Se dovesse ottenere la tregua a Gaza, la sua pretesa di avere il premio, per il quale alcuni esponenti dell’establishment repubblicano lo hanno candidato, formalmente avrebbe più peso. Questa è la vera molla, anche perché il suo piano per l’Ucraina è fallito: aveva detto che la guerra sarebbe finita in 24 ore e invece continua.
Anche Netanyahu in precedenza aveva detto che c’erano le condizioni per una tregua di due mesi. E ora ha detto sì al piano di Trump. Le condizioni ci sono veramente? Hamas non si opporrà?
Credo che tutto quello che Netanyahu sostiene non abbia valore: liscia il pelo a Trump. Capisce che vorrebbe una tregua e lo accontenta. Bisogna vedere cosa dice la controparte e soprattutto quali sono le condizioni che pone Israele: se sono irricevibili per Hamas, è garantito che non ci sarà nessuna tregua. Penso che il premier israeliano non abbia nessuna convenienza a una tregua vera e propria, anzi, l’intervento in Iran è servito anche a distogliere l’attenzione da ciò che stava succedendo a Gaza.
La realtà, come al solito, è che a Netanyahu serve un fronte aperto?
Si sono chiusi quello con Hezbollah, con la Siria e l’Iran, almeno per il momento. Ma un fronte per compattare il governo, mantenere il potere e allontanare i processi a suo carico gli serve. E l’unico rimasto è quello di Gaza. Credo che persegua l’obiettivo di distruggere Hamas, ammesso che sia possibile, ma anche di deportare i palestinesi.
Come in ogni altra fase della trattativa però il punto è sempre la fine della guerra e Hamas ribadisce che vuole che il conflitto finisca.
Intanto bisogna vedere se ci sarà la tregua: Israele (così come Hamas) si è detto disponibile anche altre volte e poi non è successo niente. Comunque si tratterebbe di un cessate il fuoco temporaneo. Il piano presentato non è certamente la soluzione del conflitto, ma una toppa messa per fini propagandistici da Trump e accettata per fini strategici da Netanyahu che lo vuole accontentare.
Il 7 luglio Netanyahu vedrà Trump a Washington. Di cosa devono parlare di così importante? Devono sancire definitivamente la volontà di una tregua a Gaza?
Dobbiamo ricordare che non è ancora ben chiaro quale sia stato l’effetto dell’intervento congiunto di israeliani e americani sui siti nucleari iraniani. Hanno distrutto il programma nucleare? Lo hanno ritardato in maniera sufficiente da non ritenerlo un pericolo per un po’? Credo che uno degli argomenti sarà proprio quanto è stato efficace l’intervento militare. Probabilmente ci sarà una valutazione sul proseguimento della guerra a Gaza: gli USA hanno appena approvato un deal di armamenti da centinaia di milioni di dollari.
La tregua potrebbe servire a Israele per prendere fiato un attimo, ma non perché la soluzione della guerra è imminente?
Israele ha speso tanti soldi nel confronto con l’Iran e le riserve di missili per la contraerea si sono ridotte significativamente. Da un punto di vista organizzativo forse conviene anche a Tel Aviv prendere fiato, anche solo per rimpiazzare la contraerea Iron Dome che è stata messa a dura prova dagli iraniani.
Intanto in Iran una legge interrompe la collaborazione con l’Agenzia nucleare dell’ONU. Anche Teheran ha bisogno di tempo per riaversi dagli attacchi?
L’Iran non poteva proseguire il conflitto perché sapeva perfettamente che la conseguenza sarebbe stata il rovesciamento del regime. Ha bisogno di riorganizzarsi. Molte delle decisioni dipenderanno dalla valutazione dello stato del programma nucleare. Se può procedere, è evidente come Teheran non abbia interesse a collaborare con l’IAEA o a spiegare dove si trovano i 400 chili di uranio arricchito che venivano attribuiti al Paese.
Si parla della possibilità di minare lo stretto di Hormuz da parte degli iraniani. Perché dovrebbero farlo?
È un’arma a doppio taglio: danneggerebbe l’economia dell’Iran, che esporta petrolio e gas. Ma danneggerebbe anche la Cina, che in questo momento è diventato un alleato particolarmente significativo. Più della Russia. Subito dopo la guerra dei dodici giorni il ministro della Difesa iraniano si è recato a Pechino, probabilmente per chiedere un sostegno militare che non arriva da Mosca perché impegnata nel conflitto in Ucraina. Visto il precedente in Siria, dove hanno lasciato cadere Assad, forse gli iraniani non si fidano più dei russi. Il blocco dello stretto di Hormuz sarebbe comunque uno strumento di fortissima pressione, una scelta alla “muoia Sansone con tutti i Filistei”, ma da usare come extrema ratio in una situazione disperata.
Sulla tregua si aspetta la risposta di Hamas, ma l’organizzazione palestinese ha ancora il controllo di Gaza? Israele ha finanziato gruppi alternativi e spuntano anche dei clan che stanno cercando di ritagliarsi uno spazio. Chi comanda nella Striscia?
Siamo di fronte a un atteggiamento tipico della politica israeliana nei confronti dei palestinesi: “divide et impera”. Israele lo ha fatto con l’ANP, sostenendo sottobanco movimenti come Hamas. Ora lo fa con altri. Ma bisogna stare attenti, ci sono movimenti che sono ancora più intransigenti della stessa Hamas: sul lungo termine si potrebbero creare delle realtà anche peggiori, meno governabili. Se prendono piede clan o gang criminali, ancora peggio: il risultato potrebbe essere la balcanizzazione della Striscia, rendendola ingovernabile per chiunque. Forse Israele vuole che questa area sia tutta presa dai conflitti interni, e quindi non minacciosa nei suoi confronti, oppure tale da giustificare un intervento pieno per un controllo a tempo indeterminato del territorio.
Israele mentre distrugge Hamas si sta creando un altro nemico? Non può farne a meno?
L’unica cosa che tiene insieme la società israeliana è la minaccia esterna. Nel momento in cui viene meno rischiano di emergere tutte le sue contraddizioni, che sono tantissime: differenze etniche, culturali, di interpretazione della religione. Sono quelle che stavano emergendo prima del 7 Ottobre e che l’assalto di Hamas ha contribuito a mettere da parte, ricompattando il Paese.
(Paolo Rossetti)
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