Palestinesi divisi su Hamas, che si riprende parte di Gaza e rifiuta il disarmo. Ce n'è per giustificare una ripresa della guerra
L’accordo di cessate il fuoco per Gaza può fallire già nella sua prima fase. E se tiene, la costruzione della pace nella Striscia e in tutta la Palestina sarà molto difficile, tutta da realizzare. I nodi da sciogliere restano tanti, a partire dal disarmo. Hamas, infatti, ha detto che non vuole deporre le armi, e ha proposto una lunga tregua fino a cinque anni.
Già questo, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, potrebbe essere un motivo per Israele per riprendere a bombardare: Trump direbbe che voleva la pace ma che altri, invece, a partire da Hamas, non gli hanno dato retta. Il fallimento dell’intesa potrebbe portare anche a un nuovo conflitto con l’Iran, unico Paese dell’area a non partecipare alla cerimonia di firma dell’accordo di Sharm el Sheikh.
Hamas dice che non vuole disarmare e propone una tregua di 3-5 anni. Si sono già rimangiati l’accordo?
L’accordo in realtà di per sé è molto vago, i punti fermi sono il rilascio degli ostaggi e la restituzione dei corpi, in cambio di un cessate il fuoco e dell’ingresso degli aiuti. Su tutto il resto, incluso il disarmo di Hamas, come verrà governata Gaza e come sarà la ricostruzione, è molto ambiguo: molti temi dovranno essere definiti in un secondo momento. Per questo si è sempre detto che l’accordo potrebbe non andare oltre questa prima fase.
Quindi non c’è un vero accordo sul disarmo, ma solo dei pour parler?
Hamas, sin dall’inizio, ha rilasciato dichiarazioni contrastanti, senza parlare di disarmo completo, al massimo di una restituzione di armi pesanti e non di armi leggere. D’altra parte ritiene che la resistenza armata sia l’unica via per ottenere qualcosa da Israele e dal suo punto di vista, nonostante le distruzioni e le migliaia di morti, è stato raggiunto un obiettivo importante: il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di tanti Paesi e una grande simpatia da parte dell’opinione pubblica, che prima non c’era.
Trump ha intimato ad Hamas di smettere con le esecuzioni sommarie a Gaza: perché i miliziani stanno intervenendo in modo così violento?
L’esercito israeliano si era alleato con clan e bande locali, cui Hamas addebita il furto degli aiuti che invece per Israele sono responsabilità dell’organizzazione palestinese. In ogni caso Hamas vede delle realtà che hanno collaborato con il nemico, probabilmente proponendosi anche come alternativa ad Hamas stesso nel caso venisse completamente messa fuori dai giochi. Le bande in questa fase non hanno più la protezione dell’esercito israeliano e Hamas è tornato sulla scena e sta sfruttando il cessate il fuoco per fare passare il messaggio che chiunque collabori con Israele verrà passato per le armi.
Di fatto, però, oggi Hamas controlla almeno una parte del territorio: ci sono le foto dei suoi miliziani per strada. È la conferma che è difficile neutralizzarlo, come invece vuole Israele?
È successo ad ogni cessate il fuoco. Ogni volta che Israele si ritira e garantisce che non colpirà, Hamas esce allo scoperto. D’altra parte è in un territorio che controlla da anni e che conosce molto bene. Era l’autorità costituita fino a due anni fa e nella fase della guerra non è comparsa un’altra autorità che potesse prendere il controllo. Hamas sa che al momento non ci sono alternative e le esecuzioni garantiscono che non ci saranno ancora per un po’.
Come si risolve il problema del disarmo? Se Hamas lo rifiuta e propone solo una lunga tregua, Israele potrebbe accettare?
C’è stato un momento in cui Hamas ha proposto una tregua di 20 anni e Israele l’ha rifiutata. Dopo il 7 Ottobre per l’attuale governo israeliano non c’è altra soluzione che la totale distruzione e lo smantellamento di Hamas. Anche i Paesi arabi non lo vogliono sulla scena.
Ma i palestinesi come giudicano Hamas? In fondo l’azione del 7 Ottobre ha portato loro solo morti e la devastazione del territorio, non lo incolpano per questo?

Ovviamente l’opinione pubblica palestinese è divisa. Intanto bisogna ricordare che c’è stata una specie di guerra civile, un colpo di Stato che ha portato Hamas al controllo di Gaza e a relegare l’Autorità nazionale palestinese (ANP) in Cisgiordania. La spaccatura su come gestire la causa palestinese c’è stata già anni fa e purtroppo ha portato alla dittatura di Hamas a Gaza. Nella Striscia chi dopo due anni di guerra pensa che Hamas abbia sbagliato tutto non si può esprimere, perché passerebbe per collaborazionista. Altri invece, ma questa è un’opinione che qualcuno ha anche in Occidente, pensano che Hamas abbia fatto bene ad attaccare il 7 Ottobre, perché ha riportato la questione palestinese sulla scena.
Se la posizione di Hamas resta quella espressa in queste ore, Israele bombarderà ancora?
Sì. D’altra parte Hamas è nato anche con un “aiuto” da parte di Israele, cui faceva comodo rompere il fronte unitario palestinese per creare problemi all’ANP e all’OLP: finché c’è un nemico da combattere l’opinione pubblica israeliana si compatta e si sopiscono le altre tensioni interne. Ma soprattutto non c’è un interlocutore forte che costringa Israele a un negoziato, a delle concessioni e a far nascere uno Stato palestinese.
Cosa c’è di sbagliato nell’accordo appena formato: quali sono gli elementi che possono rovinare i piani di pace?
È un accordo in cui ci si è concentrati su obiettivi di breve periodo, senza chiarire davvero come verrà ricostruita e governata Gaza, cosa succederà in Cisgiordania e come si potrebbe arrivare a uno Stato palestinese. Certo la situazione è talmente complessa che affrontare tutte queste questioni avrebbe significato andare avanti con negoziati per un decennio. Il lato positivo di questo accordo è che gli ostaggi sono stati rilasciati, gli aiuti hanno cominciato a entrare e per il momento le bombe si sono relativamente fermate: bisogna guardare anche il bicchiere mezzo pieno.
Dopo la cerimonia della firma dell’intesa, però, non si è più sentito parlare di trattative. Come mai?
Perché la prima fase in realtà non si è ancora conclusa. Era prevista anche la consegna dei corpi degli ostaggi, ma ce ne sono diversi ancora da cercare, Israele pretende che vengano consegnati tutti. Dopodiché i palestinesi cominceranno anche loro a dire che l’accordo prevede l’ingresso degli aiuti in quantità massicce e senza vincoli.
Rischiamo che non si concluda neanche questo primo step dell’intesa?
Probabile che non si concluda, basta che non trovino un corpo e Israele può usare questo come scusa per riprendere a bombardare.
In questo caso anche Trump dovrà ammettere la sconfitta della sua azione diplomatica?
Trump non è uno che ammette sconfitte, dirà che ci ha provato e che comunque ha ottenuto il rilascio degli ostaggi, che di per sé è già un grande risultato. Al presidente americano, d’altra parte, interessa più il punto di vista della lobby pro-Israele negli Stati Uniti, che non quello che pensano i palestinesi o i Paesi arabi.
Se si tornasse alla guerra, per i Paesi arabi sarebbe uno smacco difficile da digerire di fronte alle loro opinioni pubbliche: come reagirebbero?
Sarebbe una situazione molto imbarazzante per tutti. Diranno anche loro che hanno fatto di tutto per applicare l’accordo e che la colpa è di Israele o di Hamas, oppure di tutti e due. Tanto anche tra gli arabi nessuno può vedere Hamas. Anzi, secondo loro dovrebbe farsi da parte. E siccome il suo principale sponsor è l’Iran, che si è rifiutato di partecipare all’incontro di Sharm el Sheikh, la colpa del fallimento non sarebbe da addebitare ai Paesi arabi.
Tutto ciò potrebbe portare a un nuovo attacco all’Iran, magari con la benedizione dei Paesi del Golfo?
Tutto quello che indebolisce sia Hamas che Iran fa piacere ai Paesi arabi. Bisogna vedere se Teheran porterà il livello di provocazione sul suo programma nucleare al punto da spingere Israele e Stati Uniti a un secondo attacco.
(Paolo Rossetti)
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