Negoziati in corso per arrivare a un accordo fra Hamas e Israele che ponga fine alla guerra a Gaza. Trump spinge, ma sarà difficile attuarlo
Si tratta a Sharm el Sheik, Hamas da una parte, Israele dall’altra, i mediatori egiziani, qatarini e americani che fanno la spola tra le parti per riportare le rispettive posizioni. Ci vuole tempo per i negoziati indiretti, ma Trump spinge perché si raggiungano risultati e si ponga fine alla guerra a Gaza. Non per niente ha dichiarato che Hamas ha già fatto ampie concessioni e che Netanyahu, che secondo i media avrebbe avuto con lui una telefonata movimentata, è molto positivo sull’accordo.
In realtà, osserva Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri con missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo., ci sono molti punti su cui le posizioni sono molto distanti. Prima va verificata l’effettiva disponibilità dell’organizzazione palestinese a rilasciare gli ostaggi, ma poi ci sono i temi del disarmo, della gestione di Gaza. Si potrebbe arrivare anche a un accordo, che però, come è successo in passato, non è detto che venga realizzato. Le parti, comunque, sembrano troppo lontane fra loro.
I negoziati sono cominciati e proseguono in modo serrato. Stavolta si fa sul serio?
Per arrivare alla pace bisogna che una delle due parti ceda qualcosa. Israele vuole la restituzione immediata di tutti gli ostaggi per poi discutere degli altri punti. Se dobbiamo dare retta a questa affermazione, il fatto che durino a lungo questi negoziati porta a poco, anche perché sono trattative difficili.
In che senso?
Sono difficili da condurre: Hamas e Israele non si parlano direttamente, ma attraverso mediatori americani, egiziani, qatarini. Noi pensiamo che diverse ore di colloqui possano servire ad approfondire la discussione, in realtà, siccome la delegazione palestinese e quella israeliana non si parlano direttamente, bisogna che i mediatori riportino le posizioni della controparte cercando di spiegarla al meglio. Già solo per questo e per raccogliere le domande sui temi da chiarire, da riportare ancora dall’altra parte, ci vuole tempo. Il punto, però, è se Hamas accetterà le richieste israeliane sulla liberazione degli ostaggi.
Quali sono gli altri nodi da sciogliere?
Prima di tutto il completo disarmo di Hamas, che invece ha già riferito di non volere deporre le armi personali, i mitragliatori e le pistole, ma solo i razzi. Inoltre Hamas non vuole lasciare il governo della Palestina, mentre Israele è disposto a lasciare la Striscia sotto il controllo americano-qatarino, ma senza che Hamas giochi un qualche ruolo.
Alcuni funzionari egiziani hanno riferito che Hamas potrebbe continuare a rimanere un movimento di resistenza ma non armata. Potrebbe restare a Gaza rinunciando definitivamente alle armi?

Anche se fosse smilitarizzata rimarrebbe l’ideologia. Hamas non propende certo per i due Stati: non riconosce Israele. Certi principi non li cambierà mai. Israele vuole gente nuova al governo di Gaza. Credo che alla fine Trump dovrà vendere che qualche risultato è stato raggiunto, ma sarà l’elefante che ha partorito il topolino.
Se anche l’accordo fosse raggiunto, come potrà essere garantita la sua applicazione?
Finora è sempre successo così: sono stati raggiunti degli accordi che poi sono rimasti sulla carta. In questo caso Israele sta concedendo molto rispetto alle posizioni espresse fino a qualche giorno fa: potrebbe liberare molti palestinesi condannati all’ergastolo e anche circa 1.500 persone detenute.
Qualche media israeliano faceva notare che la Casa Bianca non ha dato un ultimatum, una scadenza a questi negoziati, anche se vuole concluderli il più in fretta possibile. In che modo questo atteggiamento condiziona la trattativa?
Credo che, come minimo, si arriverà a qualche risultato di facciata: Trump si è già bruciato con Putin, non può farlo anche su questo tavolo. I negoziati andranno avanti, a Israele non importa molto perché tanto per il momento continua a fare quello che vuole a Gaza. Io comunque diffido del fatto che nelle trattative si arrivi a qualcosa.
Cosa ci dobbiamo aspettare allora realisticamente?
Un risultato di facciata, senza che si realizzi niente di concreto e di duraturo. Magari gli ostaggi vengono liberati e si raggiunge un accordo sul disarmo, ma quando si tratterà di decidere il futuro di Gaza si arriverà a una rottura. A parole potranno dire di tutto, come è successo nel passato, ma poi il tempo rivelerà i giochi di entrambe le parti, che sono quelli di arrivare a una pace pro domo loro.
(Paolo Rossetti)
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