GUARESCHI/ E Tugnén Bazziga, il sogno infranto del “Romanzo all’antica”

- Egidio Bandini

“Romanzo all'antica”, dedicato al mondo di suo padre e di suo nonno Tugnén Bazziga, era il libro che Giovannino Guareschi aveva sempre sognato. Ma non riuscì mai a pubblicarlo

Antonio Guareschi  640x300 Antonio Guareschi (per gentile concessione eredi Guareschi)

Il sogno che Giovannino Guareschi non riuscì mai a realizzare rimane quello della pubblicazione del libro cui teneva di più: quel “Romanzo all’antica” già iniziato ai tempi della sua collaborazione al Corriere della Sera.

Gli anni sono i primi 40 e le storie che Giovannino inventa ripercorrono la vicenda umana e familiare del padre, Primo Teodosio Augusto Guareschi, figlio di quell’Antonio detto “Bazziga” che rappresentava, per Giovannino, il mito del grande possidente terriero dell’Ottocento, innamorato e geloso della propria campagna, ma altrettanto generoso con chi lavorava ed abitava in quella grande cascina che era il favoloso “Boscaccio”.

Tugnén Bazziga, questo il soprannome per intero nel dialetto della Bassa, era un uomo straordinario, dotato di lunghi baffi ad ala di rondone e di una considerevole barba, autoritario a vedersi, ma capace di gesti altruistici davvero inusitati per l’epoca. Ci racconta di lui, un altro grande figlio di questa terra sparsa lungo la riva destra del Po: il più famoso burattinaio d’Italia, Italo Ferrari, che scrive, il 14 luglio 1958: «Illustre Nino Guareschi e carissimo amico. Come le avevo promesso le invio il ritratto del suo grande avo! Il ritratto molto tempo fa mi fu regalato da suo padre; egli sapeva come era amato e stimato questo santo uomo che nella vita ha sentito il dolore e la miseria degli altri. Io sono nato precisamente alla Fossa di Roccabianca nell’aprile del 1877. Mio padre era un famiglio da spesa alle sue dipendenze e mi raccontava che in quei lontani tempi la terra rendeva poco, il pane era scarso e la polenta era sempre il piatto forte. Gli inverni che non finivano mai; freddo e neve, il riscaldamento della famiglia, la stalla. Tugnén Bazziga non mancava di passare da ogni famiglia alle sue dipendenze per constatare, de visu, come se la passavano. Voleva guardare cosa mancava nella dispensa. Il giorno dopo arrivava farina, lardo, olio e, se vi erano ammalati, provvedeva la carne. Tugnén Bazziga era l’esempio dei proprietari e voleva che la sua gente fosse tranquilla e serena. Metteva in pratica l’Evangelo: “Chi ha due mantelli ne dia uno a chi ne è senza” (Evangelo di S. Matteo). Cristiano nel puro senso della parola Egli era ricco, sì, ma la sua ricchezza aveva saputo distribuirla con amore! Ecco Tugnén Bazziga!».

Si può capire quale suggestione esercitasse questo racconto nell’animo di Giovannino, che era già ben deciso a completare quel “Romanzo all’antica” fatto dei racconti di vita ispirati appunto da Antonio Tugnén da Primo Teodosio Augusto, suo figlio. Ma quel volume non uscì mai.

Eppure Guareschi aveva preparato un’accuratissima scaletta, fatta di nomi, date e soprattutto fatti legati alla saga familiare dei suoi antenati, ambientata in quell’immensa cascina che lui chiamava “Boscaccio” e che, in realtà, si chiama ancor oggi “Bosco”. Da qui nascono i primi racconti pubblicati sul Corriere della Sera, tre dei quali Guareschi sceglierà come introduzione al primo volume di “Don Camillo” nel 1948.

Racconti che si snodano lungo le carrarecce del “Boscaccio”, nei campi, lungo gli argini del Grande Fiume ed hanno per protagonisti i 12 figli di Tugnén Bazziga. Protagonisti che, nelle prime storie, sono bambini che hanno dai 14 ai 2 anni e che Guareschi chiama addirittura per nome, disegnando un ritratto della famiglia del padre Primo Augusto, l’unico di cui Giovannino non scrive il nome, perché dentro di sé sentiva che quel nome poteva, doveva essere il suo. I “fratelli” sono: Felice, Giòn, Manuel, Diego, i gemelli Rem e Clem, Davide, Giaco, Macco, Vasco e Chico. Alcuni di questi nomi si ritrovano in parecchi racconti, sia del Mondo piccolo che del piccolo Mondo borghese, come Giòn, Diego, Giaco (meglio Giacomo, Giacomino e Giacomone), ma, soprattutto, Chico, a dimostrazione che la famiglia, anche se non sempre unita, continua ad esistere, cresce: ognuno dei fratelli prende la propria strada, vive in altre case, in altri ambienti, partecipa ad altre vicende, dimostrando che i personaggi guareschiani possono migrare da una storia all’altra, continuando a funzionare benissimo dal momento che impersonano l’autore e i lettori al tempo stesso, risultando comunque inventati rigorosamente dal vero.

Così, forse, con l’andare del tempo, i personaggi del “Romanzo all’antica” si disperdono, entrano in altre famiglie, in altre storie e non rappresentano più quel corpus di racconti adatto a diventare il romanzo che Guareschi sognava. Di qui la mancata pubblicazione di un volume che avrebbe dovuto essere, nell’intenzione dell’autore, l’alfa e l’omega della sua attività letteraria, il principio da cui era partito e il traguardo che avrebbe raggiunto, senza allontanarsi da quel piccolo mondo che era il “Boscaccio”, capace di attraversare tutti e cinque i continenti.

Ma il destino, si sa, a volte cambia il corso delle cose e così, nel 1964, Andrea Rizzoli scrive a Guareschi, chiedendogli di fare una scelta di racconti da utilizzare come canovaccio per una serie di telefilm da mandare in onda in Italia (forse sulla scia del grande successo che i racconti televisivi di Mondo piccolo avevano avuto l’anno precedente in Argentina). Ecco l’occasione buona per riproporre, stavolta per immagini, oltre che per parole, il sogno del “Romanzo all’antica”.

L’elenco che Giovannino fa dei racconti da utilizzare per la serie tv è emblematico: Le storie del fiume: Il compagno Gesù; Il Vittorioso; Noi del Boscaccio; Giallo; Cronaca nera; Quel gatto bianco e nero; Dente per dente; Gerda; Un pacchetto di «Nazionali»; La padrona; L’Esagerato; Romanzo «Diesel»; Il cocchino amnistiato e la madre svanita; Il cadavere vivente; I cittadini; Aggiornamento; Il fatto compiuto; Il decimo clandestino; Una famiglia rovinata; Il cero. Un nucleo di racconti che darà vita ad una nuova saga guareschiana, quella del “piccolo Mondo borghese”. Tutti racconti dove Peppone e don Camillo recitano perlopiù un ruolo da comprimari o, addirittura, non fanno parte del “cast”.

La volontà di Guareschi è chiara: in tv andranno le “Scene da un romanzo all’antica”, con l’aggiunta sapiente, ma a piccole dosi, di don Camillo, Peppone e il loro Mondo piccolo.

Il sogno, dunque, stava per realizzarsi e Giovannino già pregustava di scrivere la sceneggiatura di questi telefilm. Evidentemente, però, non doveva essere così, anche della serie televisiva improntata sui racconti del “Boscaccio” non se ne fece nulla. Solo a distanza di oltre vent’anni uscì la raccolta di racconti dal titolo “Noi del Boscaccio” a cura di Alberto e Carlotta Guareschi e nel 1989 Lina Wertmuller diresse quello straordinario film che ha per titolo “Il decimo clandestino”: proprio uno dei racconti che Guareschi aveva scelto per quel suo “romanzo televisivo” che doveva essere la realizzazione di un sogno e, come i sogni, purtroppo, durò anch’esso lo spazio di una sera: il film, infatti, venne trasmesso una sola volta su Canale 5 il 2 maggio 1989.

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