Stavolta è il turno di un chitarrista forse non molto conosciuto, ma che presenta uno stile dai tratti molto interessanti. Eric Johnson, nativo di Austin, Texas, è sostanzialmente un chitarrista rock, ma ha sempre incorporato nella sua modalità compositiva ed esecutiva una serie di elementi provenienti da numerosi altri generi: jazz, fusion, country and western, blues. Il suo stile si intreccia con quello di altri chitarristi, in particolar modo, a mio avviso, Steve Morse e Allan Holdsworth, ma anche Clapton, Satriani, in una sorta di mutuo interscambio.
La sua tecnica è formidabile, e gli permise, nel 1991, di vincere un Grammy Award come miglior strumentista Rock. Qualche anno dopo partecipò con Steve Vai e Joe Satriani a una delle formazioni del progetto G3. Quindi non stiamo parlando proprio dell’ultimo arrivato, anche se oggi questo nome potrebbe non dire nulla a molti.
Il brano proposto (ma potrete trovarne molti altri su YouTube) è Camel’s night out e la versione che vediamo è tratta da un concerto del 14 dicembre 1988 tenutosi proprio ad Austin.
La formazione è composta seguendo le leggi del più scarno “combo” rock, il power trio chitarra-basso-batteria.
Dopo una breve intro simil-country del bassista, il brano, uno strumentale, parte, e ci dà subito l’idea del suono possente di questo chitarrista. Il tema del pezzo in realtà è spezzato fra una successione di accordi e dei frammenti di melodia, e questa è una delle caratteristiche principali dello stile chitarristico di Eric Johnson, che lascia trasparire, pur applicati al contesto rock, i suoi trascorsi jazzistici.
Appena parte l’assolo (dopo un paio di giochini funambolici di togli-e-metti-il-bottleneck), intorno ai due minuti e mezzo dall’inizio del video, ci accorgiamo subito delle peculiarità di questo straordinario chitarrista: conoscenza perfetta della tastiera, scandagliata su e giù senza interruzione; come già detto, la continua alternanza fra frasi melodiche e accenni armonici; grande conoscenza degli arpeggi e grande velocità nella loro esecuzione; uso massiccio della pentatonica, ma senza mai stancare; su tutto, grande velocità e precisione.
Il suono, ben riverberato, non fa pesare l’assenza di un altro strumento d’accompagnamento e viene continuamente modificato con grande maestria anche nell’alternanza dei pedali-effetto e nel cambio dei pick-up della chitarra. Forse un po’ troppo tecnico, mi si rinfaccerà: dove sta la poesia in un pezzo così?
Mah, forse in parte è vero, ma io vorrei essere in grado di saper suonare così, e poi mi metterei a discutere su come usare meglio la tecnica. Insomma, onore a Eric Johnson, e buon ascolto!