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Home » OPIS » I NUMERI/ Bambina bianca o nera, basta una foto per cambiare le emozioni sulla guerra

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I NUMERI/ Bambina bianca o nera, basta una foto per cambiare le emozioni sulla guerra

Angelo Rodolfo Tomaselli
Pubblicato 27 Giugno 2025 - Aggiornato 30 Giugno 2025 ore 19:40
Guerra Iran-Israele: un edificio distrutto a Tel Aviv

Guerra Iran-Israele: un edificio distrutto a Tel Aviv (Foto: ANSA-EPA/ABIR SULTAN)

800 italiani messi di fronte a due foto di guerra con una bambina bianca e una nera. Ecco come è cambiata la percezione di pericolo del conflitto

Nella nostra mente, il formarsi di un’idea o di un giudizio prende avvio dal sedime di innumerevoli precedenti esperienze e memorie di emozioni e integra vecchie e nuove informazioni attivando reti neuronali ramificate in più aree del cervello, dai lobi prefrontali all’amigdala, come dimostrano numerosi studi che utilizzano neuro immagini. È come se il deposito biochimico del nostro vissuto organizzasse configurazioni che anticipano la materia su cui esercitare un giudizio vero e proprio. I giudizi, cioè, sono anticipati dai pre-giudizi che permettono di lasciare sullo sfondo aspetti altrimenti necessari all’elaborazione dell’informazione. D’altra parte, i pregiudizi possono dirottare le valutazioni su sentieri accidentati, introducendo in queste delle distorsioni (bias) cognitive rilevanti.

Nel seguito, ci poniamo la seguente domanda: in quale modo le immagini mediano tra giudizio e pregiudizio e che influenza hanno nelle rilevazioni socio-demografiche?

Un’immagine è una riproduzione della realtà, ma non ha il medesimo significato per tutti. La realtà che un’immagine rappresenta dipende dalla nostra visione delle cose, ossia dal nostro vissuto e dal nostro sistema di valori. Tuttavia, un’immagine suggerisce determinati percorsi mentali: da un certo punto di vista, attiva in chi la vede un processo creativo che lo mette al riparo dall’instabilità del giudizio.

Per cercare di indagare la relazione tra il formarsi di un giudizio e l’uso delle immagini nella ricerca sociale, nel marzo 2025 è stato condotto presso l’istituto di ricerca Demetra Opinioni.net di Mestre (VE) un esperimento su 800 italiani aderenti a un panel online.  A ogni partecipante è stata mostrata una semplice domanda accompagnata da un’immagine. L’immagine era uno scenario di guerra, però in uno stava in primo piano una bambina bianca con un orsacchiotto di peluche e in un’altra una bambina nera con un altro orsacchiotto tra le mani. La domanda era la stessa per entrambi i gruppi: “Con che frequenza le capita di sentirsi preoccupato per quanto riguarda lo scoppio di nuove guerre nel mondo?”

I partecipanti sono stati assegnati casualmente a uno dei due gruppi: 400 persone vedevano la bambina di colore, le altre 400 la bambina bianca. I rispondenti avevano la possibilità di scegliere tra quattro opzioni di risposta: Mai, Raramente, Qualche volta, Frequentemente. I dati sono stati successivamente ponderati per garantire omogeneità rispetto al genere, all’età, al titolo di studio e all’orientamento di voto alle elezioni europee.

L’ipotesi sperimentale era: può una variazione nel contenuto di un’immagine modificare le risposte? In un’epoca in cui l’immagine è diventata il modo dominante di comunicare, domande di questo tipo non sono più solo una curiosità accademica ma una questione cruciale di metodo, etica e comunicazione pubblica.

Tra l’altro, la diffusione massiva dei questionari online ha rivoluzionato il modo di condurre sondaggi di opinione, indagini di mercato e ricerche sociologiche. Piattaforme digitali sempre più intuitive permettono di creare moduli ricchi di contenuti multimediali. Le immagini sono spesso inserite per attirare l’attenzione, spezzare la monotonia dei testi o rafforzare visivamente il contenuto della domanda. Tuttavia, come già detto, queste tecniche nascondono delle insidie poiché anche le immagini apparentemente neutre portano con sé un bagaglio semantico, simbolico, emotivo e possono alterare in direzioni non controllabili le risposte ottenute.

L’esperimento non intendeva valutare posizioni ideologiche o opinioni politiche, ma sondare un’emozione: la preoccupazione. Le immagini utilizzate sono state generate mediante intelligenza artificiale.



 



I dati raccolti non hanno offerto una differenza statisticamente rilevante. Tra coloro che hanno visto l’immagine con la bambina di colore, l’89% si è dichiarato ‘frequentemente’ o ‘qualche volta’ preoccupato per lo scoppio di nuove guerre; nel gruppo che ha visto la bambina bianca, la stessa risposta è stata data dall’86%.

Una differenza del 3%, non è statisticamente significativa. La domanda diventa allora: si tratta solo di fluttuazioni casuali oppure l’immagine mostrata ha avuto un’influenza, per quanto sottile, sulle risposte di certi gruppi? Abbiamo per questo incrociato la variabile sperimentale con l’orientamento verso l’Europa, l’età, le intenzioni di voto e il titolo di studio dei rispondenti e abbiamo notato che, in certi gruppi, la differenza tra la percentuale di preoccupati tra chi ha visto la bambina di colore e chi la bambina bianca raggiunge anche gli 11 e più punti percentuali.

Si nota una preoccupazione per le guerre che cresce con l’età dei rispondenti, essendo importante ma bassa tra i giovani, intermedia tra le persone delle età di mezzo e massima tra gli anziani, ma la foto della bambina di pelle scura è sistematicamente più evocativa di preoccupazione rispetto a quella della bambina con la pelle chiara.

Anche le opinioni politiche giocano un ruolo: chi si identifica con il centrodestra mostra una differenza di 9 punti tra le due immagini, con un netto minore impatto della bambina bianca. Inoltre, tra chi ha un diploma superiore l’impatto dell’immagine è più forte rispetto a chi possiede una laurea.

Tutto questo ci dice che, anche se l’effetto medio dell’immagine è limitato, il suo impatto può amplificarsi in determinati segmenti della popolazione, rafforzando o attenuando il messaggio emotivo trasmesso dalla domanda visiva.

Tabella 1. Percentuale di italiani che si sentono preoccupati per lo scoppio di nuove guerre (marzo 2025) per foto mostrata e classe d’età del rispondente (tra parentesi la numerosità campionaria dei gruppi)



Tabella 2. Percentuale di italiani che si sentono preoccupati per lo scoppio di nuove guerre (marzo 2025) per foto mostrata e orientamento verso l’Unione Europea dei rispondenti* (tra parentesi la numerosità campionaria dei gruppi)



(*) La domanda era: “Alcuni ritengono che in questo momento occorre rafforzare le istituzioni europee e la collaborazione con gli altri stati che formano l’Unione Europea. Altri ritengono invece che bisogna rafforzare l’autonomia dei singoli Stati. Secondo lei, insomma, ci vorrebbe Più Europa o Meno Europa?”.

Tabella 3. Percentuale di italiani che si sentono preoccupati per lo scoppio di nuove guerre (marzo 2025) per foto mostrata e intenzioni di voto (tra parentesi la numerosità campionaria dei gruppi)



Tabella 4. Percentuale di italiani che si sentono preoccupati per lo scoppio di nuove guerre (marzo 2025) per foto mostrata e titolo di studio (tra parentesi la numerosità campionaria dei gruppi)



Cosa ci dicono in definitiva questi dati? Innanzitutto che gli aspetti emotivi e legati a pregiudizi possono giocare un ruolo anche in contesti razionali come un sondaggio di opinione. L’immagine di una bambina nera in un contesto di guerra sembra evocare in alcuni rispondenti — per ragioni storiche, culturali e mediatiche — scenari più tipici, più immediatamente riconducibili a conflitti noti (Africa subsahariana, Medio Oriente, esodi umanitari). La bambina bianca, che dovrebbe attivare l’immaginario di un guerra in un paese europeo, dà luogo stranamente a risposte meno emotive soprattutto nei rispondenti più giovani, politicamente più consapevoli e più conservatori.

Pertanto, ciò che vediamo, anche solo per un istante, può far germogliare una catena di significati che sfuggono alla coscienza. Potrebbe essere una distorsione emotiva, un piccolo spostamento cognitivo che, moltiplicato per migliaia di rispondenti, può modificare la percezione pubblica di un tema da parte di determinati gruppi di persone. Così, quando si incrociano questi effetti con variabili sociopolitiche — età, orientamento politico, grado di istruzione — le differenze diventano significative.

Nel mondo della ricerca sociale ciò merita riflessione. Le immagini non vanno demonizzate ma, se fossero inserite in un questionario, devono essere trattate come contenuti con potenziale semantico e non semplicemente estetico. Pertanto, per controllarne l’effetto, è necessario testare preventivamente il loro impatto e considerare il rapporto tra il valore aggiunto in termini informativi e l’introduzione di possibili effetti distorsivi.


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