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Home » Educazione » I NUMERI/ Scuola e stereotipi di genere, ecco chi “aiuta” i pregiudizi (ma le soft skills li riducono)

  • Educazione
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I NUMERI/ Scuola e stereotipi di genere, ecco chi “aiuta” i pregiudizi (ma le soft skills li riducono)

Sergio Longobardi, Antonella Rocca
Pubblicato 10 Ottobre 2025
Studenti in classe (Ansa)

Studenti in classe (Ansa)

Così gli stereotipi di genere vengono interiorizzati e contribuiscono a condizionare le scelte dei ragazzi: la scuola li può ridurre promuovendo la parità

Le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro rappresentano ancora oggi una questione di rilevanza globale, che interessa la maggioranza dei Paesi. Esse tendono a persistere nonostante in molti contesti, tra cui l’Italia, le donne abbiano raggiunto livelli di istruzione mediamente superiori rispetto agli uomini e abbiano conquistato posizioni apicali in tutti i settori, inclusa la politica. Tra le principali cause di questa persistenza, la letteratura socio-economica individua la diffusione di stereotipi di genere che si manifestano già dall’infanzia, si intensificano e si consolidano durante la fase preadolescenziale, per poi radicarsi nel lungo periodo.


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Gli stereotipi di genere possono essere definiti come un insieme di credenze ed opinioni sulle donne e sugli uomini, nonché delle qualità presunte associate alla mascolinità e alla femminilità. Essi svolgono la funzione di meccanismo sociale che influenza percezioni e comportamenti, contribuendo al mantenimento e alla riproduzione delle disuguaglianze di genere. In altre parole, una volta interiorizzati, gli stereotipi tendono a condizionare le scelte individuali soprattutto in ambito educativo. Un esempio evidente è la bassa presenza femminile nei corsi di laurea STEM. Questo, a sua volta, si riflette anche sugli esiti occupazionali, influenzando sia i settori in cui si lavora, sia i livelli retributivi.


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Se gli stereotipi iniziano ad essere interiorizzati già nei primi anni di vita, appare evidente il ruolo cruciale che il sistema educativo può avere nel prevenire e ridurre questo processo di creazione e perpetuazione degli stereotipi, incoraggiando il pensiero critico, promuovendo l’esposizione alle diversità ed educando alla consapevolezza delle effettive, e limitate, differenze esistenti tra i generi.

A tal fine, la formazione può infatti agire sia attraverso la divulgazione del sapere scientifico e delle competenze cognitive, sia attraverso lo sviluppo delle cosiddette competenze non cognitive o socio-emotive, quali apertura mentale, capacità relazionali, gestione dello stress ed empatia.


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In Italia, l’ISTAT, a partire dal 2018, provvede con cadenza quinquennale a rilevare il fenomeno attraverso l’indagine sugli stereotipi di genere e sull’immagine sociale della violenza. Confrontando i dati delle due indagini finora disponibili (del 2018 e del 2023), si nota una flessione degli stereotipi di genere. Tuttavia, parallelamente, è aumentata la divergenza tra ragazzi e ragazze nelle opinioni riguardanti i ruoli e la violenza di genere.

In questo quadro si collocano i risultati del progetto di ricerca ENRICH (Evaluating Non Cognitive Skills for Resilience, Innovation and Change), realizzato in collaborazione tra l’Università degli Studi di Napoli Parthenope e l’INVALSI.

Il progetto ha previsto, oltre a un modulo principale finalizzato alla rilevazione del livello delle competenze socio-emotive, anche un modulo integrativo volto a misurare la presenza di stereotipi di genere tra gli studenti.

La rilevazione, svolta sotto la supervisione degli insegnanti mediante la somministrazione di un questionario con tecnica CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing), ha adottato un disegno campionario stratificato a due stadi, che ha consentito di raccogliere dati rappresentativi a livello di macroarea geografica su un campione composto da 6.082 studenti e studentesse del primo anno della scuola secondaria di primo grado, provenienti da 322 classi di 118 istituti scolastici.

Relativamente agli stereotipi di genere, è stata utilizzata e mutuata la scala GASC (Gender-Stereotyped Attitude Scale for Children) sviluppata dagli studiosi Signorella e Liben negli anni Ottanta.

Questo strumento valuta gli atteggiamenti di genere chiedendo chi dovrebbe svolgere determinate attività, in particolare basandosi su un set di voci che comprendono sia attività quotidiane, come “pulire la casa” o “abbracciare altre persone”, sia ruoli professionali, quali “pilotare un aereo”, “essere un dottore” o “essere un insegnante”.

Per misurare il livello di stereotipizzazione, si è quindi calcolata la percentuale di studenti che “rispettano” lo stereotipo (per esempio rispondono che riparare un’automobile sia un’attività che devono svolgere i maschi oppure che pulire la casa sia un’attività riservata alle donne). Nella Tabella 1 sono riportate le risposte percentuali ai singoli item della scala GASC, con l’indicazione, per ogni voce, della tipologia di stereotipo (maschile, femminile o neutro).

Tabella 1. Distribuzione percentuale delle risposte ai singoli item della scala GASC.

Si osserva che vi sono ambiti in cui i pregiudizi risultano ancora molto radicati. In particolare, gli stereotipi maschili che fanno riferimento ad attività come pilotare un aeroplano, riparare un’automobile o giocare a calcio sono quelli con maggiore livello di stereotipizzazione e vengono associati prevalentemente ai maschi, con percentuali comprese tra il 60% ed il 30%, mentre la quota che attribuisce questi compiti alle femmine è pressoché nulla.

Questo suggerisce che persiste una rappresentazione della forza fisica, della competenza tecnica e degli sport agonistici come domini maschili. La stereotipizzazione è leggermente inferiore per gli item considerati femminili. Infatti, sebbene attività come prendersi cura dei bambini, pulire la casa, danzare e perfino abbracciare spesso le altre persone vengano considerate più adatte alle donne, le quote di risposte a favore del genere femminile variano in un range tra il 10% ed il 40%, mentre quelle riferite all’universo maschile restano residuali. Qui emergono chiaramente gli stereotipi legati al ruolo di cura, alla sfera domestica e all’espressività affettiva, tratti che culturalmente sono ancora associati al femminile.

Se gli stereotipi relativi alla mascolinità sono quelli più radicati tra gli studenti, allo stesso tempo un’analisi delle risposte in base al genere dei rispondenti (Tabella 2) mette in luce che sono proprio gli studenti maschi quelli caratterizzati da una maggiore propensione verso gli stereotipi.

Tabella 2. Distribuzione percentuale degli studenti che hanno espresso risposte coerenti con gli stereotipi della scala GASC, in base al genere del rispondente.

Nota: per gli item neutri (costruire un puzzle difficile e andare in bicicletta) si considera aderente allo stereotipo sia quando viene fornita la risposta “maschio” sia quando la risposta è “femmina”.

Per ogni item, le differenze tra maschi e femmine risultano, infatti, statisticamente significative, evidenziando modalità differenti di percezione e interiorizzazione dei ruoli, sia in ambito professionale che nelle attività quotidiane.

L’indagine ha inoltre esplorato la relazione tra il livello di stereotipizzazione, misurato sulla base del numero di stereotipi assimilati, ed il livello di alcune competenze socio-emotive (curiosità, senso di responsabilità, capacità relazionali, empatia e regolazione dello stress), alcune caratteristiche personali (genere, area di residenza, livello del contesto socio-economico familiare) nonché i livelli di competenze cognitive (punteggio in lettura).

I risultati hanno evidenziato come senso di responsabilità, empatia e curiosità rappresentino competenze in grado di ridurre significativamente il numero di stereotipi nei ragazzi. Infine, molto interessante è risultata l’analisi dell’associazione tra numero di stereotipi posseduti e livello socio-economico della famiglia di origine. Un contesto familiare socio-economico medio-alto o alto è infatti associato ad un numero inferiore di stereotipi e la relazione appare statisticamente significativa.

Nessuna relazione significativa è invece emersa tra il livello di stereotipizzazione e la residenza nel Nord, Centro o Sud del Paese. Infine, le competenze cognitive, misurate dal punteggio medio di classe al test INVALSI in lettura, pur presentando una relazione inversa con il numero degli stereotipi, non hanno evidenziato una relazione statisticamente significativa.

In conclusione, l’indagine conferma l’importante ruolo della scuola nella riduzione degli stereotipi di genere, in particolare nel caso in cui essa provveda a stimolare le competenze non cognitive, oltre a quelle cognitive. Appare pertanto auspicabile una revisione dei programmi educativi finalizzata a promuovere, accanto alle competenze cognitive, lo sviluppo del pensiero critico, della curiosità, dell’apertura mentale e dell’empatia. In altre parole, le scuole, investendo sulle competenze socio-emotive, possono diventare un potente strumento per combattere gli stereotipi e promuovere la parità di genere.

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