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Home » DOWNGRADE ITALIA/ Da Fitch uno “schiaffo” a Draghi

DOWNGRADE ITALIA/ Da Fitch uno “schiaffo” a Draghi

Paolo Annoni
Pubblicato 9 Marzo 2013
fitch_agenzia_di_rating_phixr

Infophoto

Difficile prevedere la reazione dei mercati al downgrade di Fitch del debito sovrano italiano. Quel che è certo è che l'ottimismo di Draghi era forse esagerato. Il commento di PAOLO ANNONI

Abbiamo ancora in mente la risposta con cui Mario Draghi nella conferenza stampa di giovedì pomeriggio si rivolgeva al temerario giornalista de Il Sole 24 Ore che chiedeva un commento su “l’incertezza creata dalle recenti elezioni italiane, in cui la maggior parte degli elettori hanno votato per partiti che rigettavano la disciplina fiscale”. La risposta di Draghi era stata di questo tenore: “Come avete visto i mercati, dopo qualche nervosisimo (excitement nell’originale, ndr) immediatemente dopo le elezioni sono ritornati più o meno al punto in cui erano prima”; “tutto sommato i mercati sono stati meno impressionati dei politici e di lei” (qua sorrisino del governatore); “la maggior parte della correzione fiscale in Italia continuerà con il pilota automatico”. Almeno una parte del mercato però è rimasta impressionata dall’esito elettorale italiano.

Chissà infatti come reagiranno i mercati lunedì al downgrade di ieri sera di Fitch (da A- a BBB+ con outlook negativo) e ancora di più ai commenti con cui ha condito la revisione al ribasso del rating sul debito sovrano italiano; non lo sappiamo, anche perché in questi mercati anestetizzati da liquidità a buon mercato fare previsioni è un mestiere sempre più difficile. Sappiamo per certo che ieri sera sulla notizia il cambio euro dollaro saliva sull’ottovalante passando in poco più di mezzora da 1.31 a 1.29. 

Il commento di Fitch è una doccia gelata che costringe a fare i conti con la pura e cruda realtà dell’economia e della politica italiana. Secondo l’agenzia di rating, il downgrade riflette quattro elementi principali. Il primo è “il risultato inconcludente delle elezioni italiane che rendono improbabile la formazione di un nuovo governo nelle prossime settimane”; per Fitch la maggiore incertezza politica e uno scenario che non è favorevole all’attuazione di riforme strutturali costituiscono un ulteriore shock per un’economia reale “in profonda recessione”. Il contrasto con le parole di Draghi è evidente. Le reazioni dei mercati alle dimissioni di Berlusconi con l’Italia in crisi di un anno fa non sono assolutamente paragonabili con quelle attuali, perché nel frattempo è intervenuta massicciamente la Bce. Così come per mesi è passata la tesi di Monti salvatore dello spread e dell’economia italiana (poi ampiamente smentita dai fatti e abbandonata clamorosamente dai principali quotidiani economici internazionali per concludersi con articoli che prendevano a randellate l’operato dell’ex primo ministro), in queste settimane è passata la tesi che avere i grillini al 25% (con proposte sul debito e sull’euro e dichiarazioni sull’“Italia Paese fallito” che se venissero tradotte farebbero scappare anche il più intrepido dei potenziali creditori) e non avere un governo fossero indifferenti per i mercati e per l’economia.

Il secondo elemento è che i dati del quarto trimestre confermano che l’attuale recessione in Italia è “una delle più gravi d’Europa”. Questa affermazione insieme ai dati sul Pil e sull’occupazione citati da Fitch concordano completamente con quanto ognuno sente e vede intorno a sé. La situazione drammatica deve essere affrontata e non può semplicemente risolversi per inerzia che al contrario porta dritti e spediti allo scenario greco.

Il terzo punto è che una recessione più grave porterà il debito sul Pil al 130% contro la precedente stima di Fitch di 125%. In tre righe Fitch mette in chiaro quali sono le conseguenze sulla finanza pubblica di un’economia che non cresce. L’ultimo punto è il più inquietante di tutti: “Un governo debole potrebbe essere più lento e meno in grado di rispondere a shock economici interni e esterni”.

Lo spread a 300 e non a 550 complice la Bce sta evidentemente dando l’impressione che la situazione non è poi così grave e che in fondo gli investitori e i “mercati” non sono preoccupati di quanto sta accadendo in Italia. Dà anche l’impressione che ci sia una marea di tempo a disposizione e che nei prossimi dodici mesi l’Italia possa concentrarsi sui “costi della politica”, la “trasparenza”, la riduzione di qualche parlamentare o del suo stipendio nell’attesa che ci sia un governo in grado di fare le riforme vere.

L’illusione che è stata propagandata è che l’Italia possa uscire dalla crisi o sopravvivere con qualche piccolo accorgimento grande solo nell’impatto mediatico e sull’opinione pubblica, ma piccolissimo nei numeri e nei reali risvolti economici mentre nel frattempo tutti possono continare a fare quello che facevano o non facevano prima, come lo facevano prima, mentre le imprese chiudono per la crisi o per le indagini. Tutto questo senza un solo dipendente pubblico in meno o senza una sola ora di apertura degli sportelli in più e con le aziende che sono sempre e solo cattive e sfruttatrici; ieri il dato sugli occupati americani che ha fatto esplodere i mercati, in positivo, segnalava che il numero di persone con più di un lavoro negli Stati Uniti a febbraio è aumentato del numero record (di sempre) di 340mila unità. 

Questa volta non ce la sentiamo, come era giusto un anno fa, di difendere l’Italia dall’aggressione immotivata e in malafede delle agenzie di rating. Non c’è niente in quello che ha scritto Fitch che non sia perfettamente condivisibile. L’alternativa alle riforme vere è la Grecia e il tempo è scaduto. In Italia, politici vecchi e nuovissimi inclusi, non sembra ci sia questa consapevolezza. Creditori, partner economici e politici reagiscono terrorizzati.


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