QUOTAZIONE POSTE ITALIANE/ Le ombre su un’operazione “di successo”

- Paolo Annoni

La quotazione di Poste Italiane in Borsa è ormai imminente. La fase di Ipo è stata un successo. PAOLO ANNONI ci invita però a guardare oltre le apparenze per capire meglio la situazione

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Poste Italiane non è ancora sbarcata a piazza Affari e sul mercato non è ancora stata scambiata una singola azione, ma l’imminente avvio delle contrattazioni, previsto per martedì, è già stato salutato come un successo. Ieri, il ministro dell’economia Padoan si è espresso con parole che non lasciano intravedere alcuna particolare “scaramanzia”: “Quest’operazione è stata un grande successo, la più importante realizzata nell’Ue quest’anno, che conferma la fiducia dei mercati nel Paese”. Il governo italiano incasserà con la vendita della partecipazione in Poste Italiane 3,364 miliardi di euro che andranno a ridurre il debito. Il direttore generale del Tesoro aggiungeva altri dettagli specificando che gli investitori istituzionali che hanno aderito all’Ipo sono “di altissima qualità”; si possono citare a questo proposito Blackrock, Fidelity e Soros. 

L’Ipo di Poste Italiane avviene in un contesto decisamente “particolare”. Ieri il rendimento delle obbligazioni statali italiane a due anni ha avuto per la prima volta un segno negativo a -0,005%; il decennale italiano rende meno dell’1,5%. Negli ultimi giorni le società di risparmio gestito quotate alla borsa di Milano hanno vissuto giornate “esaltanti”; Azimut, per fare un esempio, è salita del 10% in due giorni, Banca Generali “solo” del 5%. 

Il risparmio gestito oggi è un prodotto che gioca su un mercato senza competizione. Le forme tradizionali e più tranquille di risparmio, obbligazioni statali e obbligazioni corporate di buona qualità, rendono pochissimo o niente; il rendimento negativo sull’obbligazione statale a due anni è emblematico. Questa situazione non sembra essere destinata a cambiare nel breve-medio periodo e alle dichiarazioni di Draghi di giovedì ieri si è aggiunto il taglio dei tassi della banca centrale cinese. La “storia” che è stata con ogni probabilità raccontata agli investitori nelle ultime settimane quando si proponeva l’investimento in Poste Italiane è una storia che si lascia raccontare benissimo e che si ascolta molto volentieri.

La storia è quella di una società “leader” e con un marchio molto forte in un mercato di risparmiatori che nei prossimi anni saranno obbligati ad ascoltare attentamente chiunque proporrà forme di investimento con attaccato un rendimento decente; un rendimento che, ripetiamo, le forme tradizionali di risparmio non sono in grado di offrire né oggi, né in un orizzonte temporale immediato. “Attaccate” alla gestione del risparmio ci sono commissioni di gestione e di performance. 

La scommessa sull’Italia è un’espressione che non si può applicare nel caso di Poste Italiane. Il risparmio dei clienti di Poste sarà indirizzato dove via via si riterrà ci saranno le prospettive di crescita e di guadagno migliori e l’Italia, in questo senso, non offre al momento grandi incentivi, non fosse altro perché il suo mercato quotato è un nano posseduto dalla borsa di Londra. Non è nemmeno scontato che a gestire i soldi saranno gestori italiani in società italiane con la sede in Italia, perché fiscalmente ha tutto il senso del mondo fare gestione in altri Paesi europei. 

Il governo italiano non si fermerà con Poste Italiane e già si parla di Enav e Ferrovie, due società che probabilmente saranno dotate di meccanismi di remunerazione del capitale investito definiti. Le società autostradali quotate oggi in Italia e figlie di un processo di privatizzazione sono ai massimi di sempre; un fenomeno quasi “inspiegabile” se si considera che gestiscono, in larghissima parte, un business italiano e che il mercato italiano è invece il 50% sotto dai massimi di sempre. 

Potremmo dire che con le privatizzazioni al governo italiano piace “vincere facile”. Poste è stata venduta “benissimo”, ma è improbabile che ci sia stato un moto collettivo di innamoramento per l’Italia o per il business “tradizionale” di Poste. Tra qualche giorno, mese o anno scopriremo chi ha fatto l’affare: se il governo italiano che ha venduto a 6,75 euro ad azione o chi ha comprato e ancora scopriremo chi percepirà le commissioni di gestione generate dai risparmi degli italiani e vedremo se l’operazione di cessione è stata o meno un’operazione lungimirante di creazione di un polo del risparmio in Italia. 

Definire l’Ipo di Poste un “grande successo”, magari solo perché nel book ci sono Fidelity e Blacksrock, fa quasi tenerezza. 





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