L’ultimo fronte della battaglia per la sovranità “sostanziale” italiana si sta giocando come noto sulle vicende bancarie. Quando si parla di un sistema bancario nazionale si parla di questioni che eccedono di molto i meri calcoli finanziari o i rendimenti ottenibili in borsa. Il sistema bancario veicola il risparmio verso gli investimenti e le imprese ed è palese che senza un sistema bancario “amico” o in grado di capire le specificità di un’economia a essere minacciate sono le prospettive di sviluppo industriale di un Paese.
A nessuno sfugge che spiegare a un investitore di New York, che non sa mettere l’Italia su una cartina, che valga la pena di investire sull’Italia e in Italia sia un po’ più difficile che farlo a un milanese, soprattutto quando si gode di cattiva pubblicità. La questione “Deutsche Bank” delle ultime settimane, le reazioni e le dichiarazioni della politica tedesca dovrebbero essere illuminanti in questo senso. In questo quadro si inserisce la vicenda della vendita di Pioneer, con i suoi 200 miliardi di euro circa di masse in gestione, da parte di Unicredit che ha avviato una politica di cessione per limitare l’importo dell’aumento di capitale. Unicredit è l’unica banca sistemica italiana, quella più internazionale e quella con il maggiore numero di attivi.
Secondo i rumour e le fonti finanziarie più qualificate, la società francese Amundi (Credit Agricole) avrebbe offerto quattro miliardi di euro per Pioneer; la cifra offerta è nettamente superiore alle attese, inferiori di circa un miliardo, e superiore a quella di una cordata italiana fatta da Poste, Anima e Cdp. La prima domanda che bisognerebbe chiedersi è come mai Amundi abbia fatto un’offerta che sembra ai più troppo alta rispetto a quanto potrebbe suggerire una valutazione che si basi sulle attese di rendimento. È una domanda a cui non si può rispondere con certezza, ma si deve almeno ammettere che mettere le mani su 200 miliardi di euro di masse, in gran parte risparmio degli “italiani”, ha un significato che trascende quanto si può guadagnare in commissioni.
A parità di progetto, di rischio e di rendimento quale sarebbe la nazionalità di destinazione vincente dell’investimento? Questo a prescindere da logiche di sistema che pure oggi in Europa sono innegabili e che riguardano l’indirizzo di finanziamenti a progetti infrastrutturali, a comparti industriali o a obbligazioni statali. A molti non farebbe probabilmente piacere se per esempio i propri risparmi venissero usati per finanziare imprese concorrenti a quella in cui si lavora magari a tassi di favore, o per “speculare” contro lo Stato in cui si vive. Sicuramente non farebbe piacere a tedeschi o francesi a parti inverse.
Vorremmo scendere ancora più nel dettaglio. La storia degli ultimi due decenni almeno, Europa sì o no, indica che a parti inverse (una banca italiana che vuole comprare 200 miliardi di euro di risparmi francesi) l’esito sarebbe sostanzialmente inconcepibile. Così come sarebbe inconcepibile che la prima assicurazione francese e la prima banca francese avessero contemporaneamente un amministratore delegato italiano che tratta con un pezzo importante del sistema Paese italiano la cessione di asset strategici francesi. Sarebbe una situazione lunare, così come è lunare che l’Italia rinunci a creare un campione nazionale in questo settore (stile Allianz o appunto Amundi) eppure è quello che succede oggi in Italia con Generali, Unicredit e Pioneer.
Tra le poche cose rimaste in Italia e pronte a far ripartire il Paese se appena la situazione politica si sistemasse c’è il risparmio che è ancora molto abbondante rispetto a qualsiasi paragone internazionale. In questi mesi e settimane si sta discutendo il destino di una fetta importante di questo risparmio; sullo sfondo rimangono le Generali che probabilmente in questo momento e in questa fase di estrema debolezza della politica italiana sembrano probabilmente un boccone ghiottissimo.
Dicevamo che a parti inverse la questione non sarebbe nemmeno concepibile, ma vale lo stesso in Germania, in Inghilterra o negli Stati Uniti; la questione non sarebbe concepibile perché sarebbe il governo a mettere in chiaro che certe offerte che implichino la perdita del controllo non sono gradite. È quello che è successo, per esempio, nella sovietica Gran Bretagna un paio di anni fa, quando BP è stata tolta dal mercato con il primo ministro che, riportava l’FT, sussurrava nella City che doveva rimanere al servizio degli interessi energetici inglesi. Il nostro governo come pensa di far ripartire il Paese senza banche? Da chi pensa di andare per fare un project finance magari di una metropolitana in una città del sud o, sempre per rimanere nell’assurdo, di un ponte sospeso? Forse non vale la pena di preoccuparsi di queste questioni; ma a quel punto bisogna solo pensare a dove emigrare. Ovviamente sempre ammesso che non sia il vero futuro del Paese.