Alla fine, come da ampie attese, Montepaschi non è riuscita a completare l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro sul mercato. I titolari di obbligazioni subordinate di Mps, sia piccoli risparmiatori che istituzionali, vedranno il proprio investimento convertito in azioni, con relative minusvalenze, e lo Stato italiano aumenterà la propria quota nel capitale della terza banca italiana. A conclusione si questa lunghissima e penosa vicenda l’unica cosa che si può dire con certezza è che non è lecito alcuno stupore per il finale della storia. Il piano di salvataggio di “mercato”, quello pensato con Jp Morgan, è stato procrastinato fino a dopo l’esito del referendum con questo rimandando a “dopo” l’appuntamento elettorale il redde rationem sulla banca toscana. Per tutta la primavera e per tutta l’estate il “mercato” si interrogava sulla reale fattibilità di un salvataggio di mercato che rimaneva sospeso nell’aria nonostante una percentuale dell’aumento pagata in commissioni senza precedenti e senza un consorzio di banche che si volesse impegnare a garantire l’aumento.
Il “salvataggio” di mercato del Montepaschi è stato rimandato perché c’era l’incertezza sulla permanenza del governo, e quindi non si trovavano volenterosi, oppure il governo l’ha rimandato perché c’era incertezza sulla sua riuscita e quindi non si voleva andare a elezioni con migliaia di risparmiatori danneggiati? Oppure le due cose in qualche modo sono state assieme dando origine a una situazione in cui si prolungava una situazione di grave incertezza su una fetta importante del sistema bancario italiano con tutti gli effetti, devastanti, sulla fiducia nel e sul Paese?
L’origine dei mali del sistema bancario italiano è lunga. L’Italia, che aveva un sistema bancario molto solido e poco esposto ai tempestosi mari della finanza globale, ha subito due crisi gravi: la prima è quella del 2008, Lehman Brothers, la seconda è quella che ci è stata imposta dall’Europa, tramite Monti, con la ricetta suicida dell’austerity dopo una vicenda, quella della defenestrazione di Berlusconi, i cui contorni oggi appaiono sempre più oscuri. Il sistema industriale italiano ne è uscito devastato e le sofferenze bancarie sono diventate inevitabili. Il primo errore, probabilmente, è stato nel 2012, quando una crisi senza precedenti montava, rifiutando interventi di sistema sulla scorta di quanto succedeva in Spagna con i soldi europei. Il secondo errore è stato quello di non comprendere la portata sistemica delle decisioni che si prendevano sulla gestione del “fallimento” di quattro banche locali nell’autunno del 2015.
Diventavano chiare due cose: la prima era che il governo italiano non era in grado di offrire agli investitori una difesa credibile di sistema sul suo sistema bancario. È quello che invece è riuscito a offrire il governo tedesco alle prese da almeno un decennio con il problema “Deutsche Bank”; tutti pensano che Deutsche Bank abbia molti problemi, ma nessuno dubita delle capacità di risposte del sistema Paese tedesco e quindi la fiducia nel e sul sistema rimane intatta. In questo caso l’immagine che si dà e la sostanza sono difficilmente separabili.
La seconda cosa che diventava chiara immediatamente dopo il fallimento delle “quattro banche locali” era che il problema era molto rilevante e diventava sistemico. La soluzione necessaria doveva essere sistemica perché in discussione c’era il sistema bancario italiano. La domanda vera dopo l’epilogo di ieri è perché l’Italia non si sia voluta risparmiare un anno intero di pessima pubblicità interna ed esterna se alla fine la conclusione è comunque un intervento statale con sacrificio degli obbligazionisti subordinati. Le pene degli ultimi mesi, borsa che crolla, notizie di giornale pessime, impatto devastante sulla fiducia, sono state completamente inutili.
Rimaniamo convinti che l’appuntamento referendario abbia inciso profondamente; saremmo inclini a una spiegazione più bonaria se il tempo trascorso non fosse stato così lungo. Invece in questo modo rimarrà sempre il fortissimo sospetto che il problema sia stato rimandato e poi rimandato e poi ancora rimandato, con tutte le conseguenze del caso, perché non si poteva neanche rischiare di andare a elezioni a cui il governo si era legato con migliaia di risparmiatori sul piede di guerra. Poi qualcuno si chiede perché, finito il referendum, la Borsa di Milano sia partita come un missile…